Sappiamo tutti che il presidente USA Donald Trump, ricoverato per problemi respiratori dopo la scoperta della sua positività al Covid19, è stato dimesso dopo pochi giorni.
La notizia, largamente diffusa dai media in tutto il mondo e anche dallo stesso Trump, con una serie di messaggi via twitter e video, rende noto a tutti il modo con cui il presidente americano sottoponendosi volontariamente ad una portentosa cura sperimentale sia riuscito a superare velocemente la crisi causatagli dall’infezione da Covid19.
Cura portentosa che non è stata certo possibile per molti altri suoi coetanei, americani e no. Morti in una guerra contro un virus che, in particolare negli Stati Uniti, ha raggiunto ormai 200mila vittime. Tanti di questi erano anziani, come Trump. Tutti però erano comuni mortali senza accessi privilegiati a questi farmaci, riservati a “VIP” come lui.
Trump, ovviamente può esultare per il risultato raggiunto e, seppure ancora in quarantena, imperversare sui media e riprendere a pieno regime la sua campagna elettorale per le presidenziali. Forte di un programma politico conservatore della peggior specie che non mancherà di portare avanti come ha cercato di fare finora. Lo farà ad esempio stroncando qualsiasi ipotesi di sanità pubblica sia stata messa a disposizione dei meno abbienti in America. Il miliardario Trump, se rieletto, demolirà un "welfare pubblico" americano ancora agli albori a partire proprio dall'ACA (Affordable Care Act) quel famoso "Obama Care" che ha tentato di demolire fin dal giorno del suo insediamento come presidente USA.
E nell’esultare odierno Trump non dimentica certo di ringraziare pubblicamente questa nuova medicina la REGN-COV2, non ancora approvata dalle autorità statunitensi. Un farmaco prodotto dall’azienda biotecnologica americana Regeneron Pharmaceuticals Inc. che, com’è ovvio, nell’arco di appena 48 ore dalla dichiarazione di Trump, ha fatto registrare una forte impennata delle proprie quotazioni in borsa e sui mercati.
FARMACI SPERIMENTALI: NON SOLO REGENERON
Leonard S. Schleifer, amministratore delegato della Regeneron e multimilionario, secondo la rivista Forbes che stila una classifica dei compensi annui dei manager delle più grosse multinazionali e corporation, ha riferito in un recente articolo del New York Times di essere stato contattato dallo staff medico del presidente Trump per ottenere il permesso di usare il nuovo farmaco. E’ infatti la casa farmaceutica a poter decidere, caso per caso, se concedere o meno a particolari pazienti privilegiati, l’acceso a un trattamento sperimentale al di fuori dei protocolli di sperimentazione clinica.
E non deve essere stato troppo difficile, per Leonard Schleifer, decidere rapidamente di curare Trump, visto che il presidente è anche l’attuale “Chief Commander” delle forze armate USA. Ovviamente i costi di questo genere di farmaci sono molto alti e rendono difficile la produzione su larga scala. Per questo motivo la Regeneron ha sottoscritto un accordo proprio con il Dipartimento della Difesa americano per distribuire alle forze armate le prime 300.000 dosi di farmaco una volta prodotte e disponibili. I civili, ovviamente, aspetteranno.
Secondo quanto dichiarato da George Yancopoulos, il direttore scientifico della Regeneron, anch’egli multimilionario secondo Forbes, questo REGN-COV2 è un riuscito cocktail di anticorpi che si è dimostrato efficacissimo nel ridurre la carica virale e i tempi di recupero in diversi soggetti positivi non ospedalizzati. Come emerge dai risultati degli studi resi pubblici dalla Regeneron. Che si riferiscono in particolare ai primi 275 pazienti reclutati per la sperimentazione di fase 1. Tra questi 275, quelli curati con la terapia sperimentale nella fase iniziale dell’infezione, hanno avuto cariche virali sempre molto più basse rispetto ai pazienti che avevano ricevuto un placebo. Con sintomatologie minime risoltesi in media da 6 a 8 giorni, rispetto alle oltre due settimane almeno necessarie a coloro che avevano ricevuto un placebo e presentavano sintomi più gravi.
L’Azienda ha poi proseguito nel frattempo la sperimentazione di fase 2 e 3. E gli esperti di Regeneron stanno verificando se il loro nuovo farmaco possa dimostrarsi utile nei pazienti più gravi ospedalizzati (come nel caso di Donald Trump). Un’altra loro ipotesi è anche verificare quanto sia in grado di prevenire lo sviluppo dell’infezione in soggetti non positivi ma entrati a stretto contatto con il Covid19. L’obiettivo finale dello sviluppo di un farmaco come questo, basato su anticorpi ricreati in “vitro”, è infatti quello di generare una forte e immediata risposta immunitaria contro il virus in persone che, per vari motivi, non siano in grado di attivarla autonomamente.
Da segnalare come sia stato proprio il dottor Sean Conley, medico personale di Trump, a confermare pubblicamente l’assunzione del farmaco sperimentale da parte del presidente.
E lo stesso Conley ha anche aggiunto che non è questo il solo farmaco utilizzato dato che, il presidente Trump, ha deciso di assumere in sequenza ben due diversi farmaci off- label (ovvero sperimentali e prescritti senza seguire autorizzazioni terapeutiche). In aggiunta al REGN-COV2 della Regeneron quindi Trump ha assunto anche il Remdesivir della multinazionale Gilead. Farmaci somministrati in sequenza perché il primo, agendo contro il virus mentre questi è appena entrato in circolo nell’organismo, è più indicato nella fase precoce mentre il Remdesivir, assunto successivamente, inibisce la catena di replicazione virale impedendo in questo modo al virus di progredire nell’organismo e penetrare nei tessuti cellulari. Questo secondo farmaco Remdesivir, in effetti, è in sperimentazione da tempo, con buoni risultati, anche in Italia. Secondo il direttore generale di Aifa (Agenzia Italiana del Farmaco), Nicola Magrini, Il Remdesivir che era stato inizialmente creato nell’ipotesi di poter trattare pazienti con il virus Ebola si è dimostrato maggiormente efficace come antivirale contro altri virus, come Mers e Sars, e ora anche contro il Covid19.
Purtroppo questo farmaco, non essendo ancora in commercio è somministrabile, al pari di altri farmaci di questo tipo, solo per un “uso compassionevole” deciso discrezionalmente dal produttore. Si tratta quindi di piccole quantità difficilmente disponibili e riservate a pochi, anche a causa del limite all’esportazione imposto dall’amministrazione federale USA che, come avvenuto per le Forze Armate con il farmaco della Regeneron, ha riservato per il proprio paese la maggioranza della produzione Gilead del Remdesivir. Grazie ad un accordo stipulato, all’inizio del 2020, da questa azienda farmaceutica con lo HHS (Department of Health and Human Services) il Dipartimento della Salute degli Stati Uniti, in base al quale l’organismo federale avrebbe potuto gestire l'assegnazione in esclusiva del farmaco agli ospedali USA fino a ottobre.
Solo alla fine dell’anno quindi questo farmaco dovrebbe rientrare nella piena disponibilità della casa farmaceutica che lo produce per avviarsi rapidamente verso la fine della sperimentazione con le autorizzazioni e la messa in commercio. Va anche detto che se il farmaco ha dato ottimi risultati, la sua messa a disposizione effettiva, sia negli States che nel resto del mondo, con i suoi costi reali e futuri sono ancora tutti da definirsi.
UNA NUOVA TRINCEA
Stiamo quindi assistendo, in questa guerra contro il virus, all’aprirsi di una nuova “trincea”, parallela e analoga a quella della gigantesca “corsa all’oro” che contraddistingue oggi la ricerca di un vaccino contro il Covid19. Uno scenario di guerra di cui abbiamo parlato su YouTG anche in questo articolo. Una guerra con enormi interessi in gioco e risvolti economici e sociali globali. Che ha assunto e assumerà dimensioni altrettanto mostruose. Se per la prima trincea è ipotizzabile a breve la messa in commercio di diversi farmaci “preventivi” contro il Covid19 è altrettanto ipotizzabile come, per poter somministrare questi vaccini all’intera popolazione mondiale, sia necessario un processo lungo e complesso in un periodo di tempo che abbraccia più generazioni di individui.
Basti solo pensare ad uno dei più importanti piani dell’OMS, Organizzazione Mondiale della Sanità contro altre malattie ad alta diffusione, come il GPEI (Global Polio Eradication Initiative) un piano globale creato per sconfiggere la poliomielite. IL GPEI è stato varato dall’OMS nel secolo scorso, quando la malattia paralizzava dieci bambini ogni 15 minuti in quasi tutti i Paesi del mondo. Si pensi anche che grazie al Piano GPEI, dal 1988 ad oggi, dopo molti decenni e generazioni di bambini vaccinati, il numero di casi è sceso di oltre il 99% e oggi la poliomielite è ancora endemica solo in Pakistan e Afghanistan.
Nell’arco di tutto il tempo necessario a vaccinare la popolazione mondiale appare quindi ovvio quanto sia importante prepararsi a combattere anche lungo l’altra “trincea” dei trattamenti di cui si sta parlando. Sarà indispensabile curare efficacemente chi, nei prossimi anni e nonostante la presenza di un vaccino, continuerà ad infettarsi di Covid19 e affollerà comunque gli ospedali o le strutture sanitarie.
Perché il contagio continuerà, lo sappiamo tutti. E continuerà ancora a lungo. Il Covid19 continuerà a diffondersi anche con un vaccino preventivo efficace. Per motivi che sono facili da intuire. Solo in Europa saranno infatti milioni quelli che non si potranno vaccinare subito per indisponibilità di vaccini contemporaneamente e per tutti. Una corsa globale all’approvvigionamento per accaparrarsi centinaia di milioni di dosi scatenerà la guerra anche tra i diversi sistemi sanitari dei nostri civilissimi paesi occidentali. Ognuno penserà innanzitutto per sé e per i propri cittadini. Esattamente come sta avvenendo anche ora nelle fasi di ricerca e sperimentazione in attesa dei brevetti. Sappiamo anche che, nel resto del mondo, milioni di persone si infetteranno comunque perché il vaccino non se lo potranno economicamente permettere . E questo avverrà non soltanto nei molti paesi del terzo mondo che non hanno, non avranno mai, sistemi sanitari adeguati per l’assistenza diffusa e forme di sostegno alla medicina preventiva. La corsa senza regole verso sistemi di assistenza sanitaria di tipo assicurativo privatistico, che sono in grado di assistere sempre meglio solo i privilegiati, in base a criteri meramente improntati al profitto economico e mai a motivazioni sociali o sanitarie, è in atto ovunque e da molto tempo. Non solo negli Stati Uniti il business-welfare è un mercato con ben poche regole e con una scala di valori prioritari eticamente discutibili. Un mercato dove, per curare i primi, ci si dimentica molto rapidamente degli ultimi che non sono in grado di scalare i suoi scalini.
Sappiamo che succederà e tanti si infetteranno comunque anche se riuscissero, prima o dopo, gratis o a pagamento, a vaccinarsi. Dato che, al pari di quanto avviene per molti altri vaccini, compresi quelli anti-influenzali, nessun vaccino sarà mai efficace nella totalità dei casi.
Ma i costi reali di questa guerra dei nuovi farmaci, bisogna chiedersi infine, quali saranno e chi li pagherà? Stante quanto dichiarato dall’attuale CEO della Gilead Daniel O’Day (in una sua lettera pubblica a giugno del 2020) “non esiste nessuna letteratura scientifica in grado di quantificare il prezzo reale di vendita di un nuovo farmaco che rappresenti la prima cura efficace contro una pandemia di queste dimensioni”.
In circostanze normali, continua Daniel O’Day, avremmo stabilito il prezzo di un farmaco in base a quanto per esso sia stato investito e in base all’aumento di valore, al desiderio di ritorno economico e Massimo profitto per chi lo produce e anche valutando il futuro risparmio in termini economici, sanitari e sociali, che può essere in grado di restituire.
I primi risultati di uno studio validato dal NIAID (National Institute of Allergy and Infectious Diseases) confermano anche essi i risultati dei primi studi delle aziende su questi farmaci, evidenziando come in pazienti ricoverati in ospedale con COVID-19 il Remdesivir abbia ridotto il tempo di recupero in media a pochi giorni. E‘ interessante notare che l’Istituto nazionale per le malattie infettive americano è guidato dal noto Antony Fauci che, seppure venga considerato il massimo esperto di virologia negli Usa, non è particolarmente gradito all’Amministrazione Trump e si dimostra critico su molte scelte. Ma tutti sono consci del fatto che, come ha aggiunto O’Day nella sua lettera pubblica, soprattutto con i costi della sanità che negli Stati Uniti è quasi totalmente in mano ai privati, una cura efficace di questo tipo comporterebbe un risparmio medio ospedaliero di circa 12.000 dollari per ogni paziente. A fronte di tutte queste considerazioni Gilead dichiara che applicherà un prezzo “governativo” di 390 dollari per fiala, mentre il prezzo per le compagnie di assicurazione private USA sarà di 520 dollari per fiala. Non è ancora noto quali saranno i costi per la quota di farmaci che potrà essere esportata.
Quindi, ad oggi, abbiamo alcune ipotesi ma non esiste nessuna certezza in questa guerra contro il Covid19, combattuta su due fronti e su due trincee parallele. Non sappiamo quanto costerà realmente alla collettività e ai singoli, non sappiamo quanto durerà, e non sappiamo quanti , alla fine, sopravvivranno allo sforzo economico, sociale e sanitario.
Anche se qualche idea su quanto ci costerà un vaccino o una cura contro il Covid19 possiamo anche farcela. Dopotutto si tratta di prodotti soggetti a privative industriali e regole commerciali che saranno appannaggio di alcune multinazionali e a disposizione di alcuni Paesi. In mano a soggetti fortunati e in grado di decretare chi avrà diritto ad una cura costosa che andrà distribuita a lungo nel tempo e diffusa su centinaia di milioni di persone.
E certamente possiamo anche immaginare che le case farmaceutiche, le multinazionali e molte persone influenti negli Stati Uniti saranno tra i soggetti più fortunati. Siamo certi che i loro azionisti e amministratori continueranno ad affollare le classifiche di Forbes, mentre noi normali cittadini, quando potremmo permettercelo, affolleremo le corsie degli ospedali.