CAGLIARI. “In Sardegna si sta seguendo la politica sanitaria di Trump, non facciamo tamponi, non facciamo test sierologici e siamo sicuri che il virus non c'è”. Il giudizio dei sindacalisti del settore sanitario sardo è tranchant. Insieme ai lavoratori delle Aziende sanitarie, questa mattina i rappresentanti di categoria di Cgil, Cisl e Uil hanno manifestato in via Roma “contro l'immobilismo delle Istituzioni regionali davanti al contesto drammatico in cui sono costretti a operare, dovuto alle gravissime carenze organizzative e gestionali e alla cronica carenza di personale”, scrivono nel comunicato. Al termine del sit-in, una rappresentanza dei sindacati confederali è stata ricevuta dalla Conferenza dei capigruppo. Andando via con la promessa del presidente dell'Assemblea sarda Michele Pais: “La presidenza del Consiglio si farà carico di rappresentare alla Giunta regionale, e all'assessore alla Sanità, la grave situazione di disagio in cui sono costretti a lavorare i dipendenti delle aziende sanitarie della Sardegna”, comunicano da via Roma.
SCREENING DI MASSA. Sul volantino, firmato dalle segreterie regionali, si invoca un'attività di “prevenzione seria”, soprattutto ora che stanno arrivando i turisti, con uno “screening di massa, invece nessun cittadino riesce a eseguire i test”. Si chiede che “si proceda immediatamente alla riapertura in sicurezza delle attività ordinarie, ospedaliere e ambulatoriali per la prevenzione delle malattie e l'abbattimento delle liste d'attesa”. Per farlo, sono necessarie “urgenti nuove assunzioni” di medici, infermieri e personale tecnico. Nel volantino si chiede inoltre che le istituzioni sarde “smettano di prendere in giro i professionisti della salute” e stanzino “risorse aggiuntive regionali”, come negli altri territori italiani. Fondi che dovranno andare ad aggiungersi a quanto già previsto con i decreti Cura Italia (quasi 6milioni 900 mila euro) e Rilancio Italia (oltre 5milioni) per i lavoratori della Sardegna che, nei mesi scorsi, sono stati impegnati nel fronteggiare l'emergenza.
L'INCONTRO COI CAPIGRUPPO. Sono diverse le questioni sollevate dai sindacalisti nell'incontro con i capigruppo. La segretaria regionale della Funzione pubblica della Cgil, Roberta Gessa, ha rilevato: “A due mesi dalla fine del lockdown, la sanità sarda è ancora in emergenza, l’attività ordinaria non è ancora ripresa”. Inoltre, a causa della “carenza di personale molti servizi restano chiusi e, senza un piano di assunzioni, non potranno essere riaperti in sicurezza”. Ritenendo quindi necessario che si proceda con le stabilizzazioni e il rafforzamento degli organici. Non meno importante, il fatto che “abbiamo i salari più bassi d’Italia e, rispetto ai nostri colleghi europei, guadagniamo in media il 50% in meno”. Dalla Uil Flp Fulvia Murru ha tuonato: “L’emergenza Covid non ha insegnato niente, la politica prima ci ha riempito di elogi e poi ci ha dimenticati. La nostra categoria ha pagato un prezzo altissimo a causa della pandemia, abbiamo avuto due morti e 150 contagiati”. Eppure, ha proseguito, “non si vuole far nulla. Il progetto di riforma della sanità non dà risposte ai cittadini e agli operatori sanitari. Niente si dice sulle liste di attesa e sull’assistenza sanitaria nei territori”. Massimo Cinus, della Cisl Fp, ha puntato l'attenzione sulla situazione gestionale: “La sanità è senza governo, le aziende sanitarie continuano a essere commissariate, non può essere questo il modello di gestione ordinario”.
LE RISPOSTE POLITICHE. Ascoltati i rappresentanti dei lavoratori, i capigruppo sembrano concordi sulla necessità di un intervento immediato. Francesco Agus (Progressisti) ha definito “inaccettabile” la mancata ripresa delle normali attività ospedaliere: “La sensazione è che ci sia stato un black out nella catena di comando”. “La politica ha il dovere di dare una sterzata – ha detto Daniele Cocco (Leu) – non è ammissibile che alcune decisioni prese all’unanimità in commissione Sanità non siano state attuate. C’è una risoluzione sulle liste d’attesa che è rimasta lettera morta. Stesso discorso sulle stabilizzazioni”. Sul modello di governance, Gianfranco Ganau (Pd), ha invocato un'inversione di rotta sul modello di governance: “I commissariamenti sono un limite. Non si capisce perché non si nominino i direttori generali almeno nelle strutture dove questo è possibile, come il Brotzu e l’Aou di Sassari”. “Le belle parole non bastano più – ha aggiunto Desirè Manca (M5S) – è ora di dare risposte concrete ai cittadini e agli operatori sanitari. Questa situazione non può andare avanti”. Più caute le parole del consigliere di FdI Antonio Mario Mundula: “Il Covid è stato uno tsunami per la sanità. È vero che la politica ha dettato le linee guida ma occorre capire se le strutture sanitarie siano in grado di applicarle in sicurezza. Serve senso di responsabilità”.