CASTEDDU. "Su 28 de aprile 1794 s’aberit cun sa bogada de is piemontesos, sos deghe annos rivolutzionàrios connotos comente a sa Sarda Rivolutzione. Ite nos abarrat, oe, de custa esperièntzia istòrica gosi distinta? Nos abarrat s’atrivida e su bisu de una Sardigna lìbera”. Comintzat gosi sa lìtera inviada dae su presidente de s’Anci Sardegna Emiliano Deiana a sos sìndigos sardos, in sa die prus de importu pro s’ìsula, Sa Die de sa Sardigna. Tzelebratziones chi ocannu s’ant a fàghere a solos pro neghe de s’emergèntzia, ma chi pro custu etotu podent fàghere meledare de prus, a parre de Deiana. “In custus tempus pindili-pende de su Covid-19 – iscriet s’Anci in sa lìtera – arriscamus de ismentigare sos problemas chi galu bi sunt pro sa Sardigna. Nos depimus ammentare, dae su 1948 a oe, de su male e de comente est istada impitada s’autonomia nostra. Oe, in su 2020, in custu tempus unu pagu istrambecu, in custu tempus pandèmicu, nos abbigiamus de comente est lèbia sa vida nostra e de canta balia tèngiant sa libertade e sa democratzia”. “Mancari gasi, in custu 28 de abrile – serrat s’Anci – nos depimus ammentare finas de cussu chi semus istados in intro de s’Istòria, cale faina tenimus in su coro de su Mediterràneu, cale benidore b’at galu pro sos sardos e sa Sardigna”.
Riportiamo integralmente la lettera ai sindaci sardi:
Caro Sindaca, Cara Sindaco
Ti scrivo oggi per ricordare con te, con l'amministrazione comunale e con la tua comunità Sa die de sa Sardigna.
Il 28 aprile 1794 si apre, con la cacciata dei piemontesi, il decennio rivoluzionario noto come la Sarda Rivoluzione.
Cosa ci resta, oggi, di quell'esperienza storica così peculiare?
Ci resta l'ardimento e il sogno di una Sardegna libera, aperta al mondo, bastevole a se stessa, ma proprio per questo capace di dialogare - da pari - con gli altri Stati, le altre nazioni d'Europa e del mondo.
La strada tracciata da Giovanni Maria Angioy, da Michele Obino; il sacrificio di uomini coraggiosi come Francesco Cilocco ci insegnano che la strada dell'autodeterminazione e dell'autogoverno è lunga e piena di ostacoli; insegnano (o dovrebbero insegnare) che non esistono, al di là del Tirreno, "governi amici" per la Sardegna, esistono, semmai, interlocutori da rispettare e dai quali esigere rispetto: ieri e oggi.
In questo “tempo sospeso” del Covid19 rischiamo di dimenticare le tante problematiche “sospese” della Sardegna: la vertenza entrate (che riguarda e deve riguardare i tagli subiti dai comuni dal 2009 ad oggi); il diritto alla mobilità e a spostarsi dalla Sardegna per il mondo; le bonifiche ambientali dei 24mila ettari dei siti inquinati; le servitù militari e il diritto della Sardegna a costruire politiche di pace, di progresso e di piena occupazione per le comunità che ospitano e hanno ospitato poligoni e servitù; il diritto, stabilito dallo Statuto, ad avere una scuola a "misura di Sardegna" attraverso la quale insegnare la storia della nostra Terra, la sua Lingua e le sue varianti; il diritto, anche questo sancito dallo Statuto, ad avere istituzioni locali che abbiano il comune e le comunità al centro del sistema istituzionale sardo e la consapevolezza che la collaborazione fra istituzioni sia un diritto da perseguire e non un obbligo da imporre.
Ma dobbiamo anche ricordarci, dal 1948 ad oggi, di quanto male e parzialmente sia stata usata la nostra Autonomia: nei trasporti, nella sanità, nella scuola, nella democrazia locale.
Oggi, nel 2020, in questo tempo così strano, in questo tempo pandemico, ci rendiamo conto di quanto precaria sia la nostra vita, di come i rapporti fra gli Stati si siamo evoluti nel giro di poche settimane a causa di un “nemico invisibile”, di quanto preziose siano la libertà e la democrazia in un momento in cui sono limitate dall’eccezionalità del momento.
Eppure, in questo 28 aprile, dobbiamo ricordarci anche di ciò che siamo stati dentro la Storia, quale sia la nostra funzione nel cuore del Mediterraneo, quale futuro è ancora possibile per i sardi e la Sardegna.
Giovanni Maria Angioy scriveva nel 1799:
« Malgrado la cattiva amministrazione, l'insufficienza della popolazione e tutti gli intralci che ostacolano l'agricoltura, il commercio e l'industria, la Sardegna abbonda di tutto ciò che è necessario per il nutrimento e la sussistenza dei suoi abitanti. Se la Sardegna in uno stato di languore, senza governo, senza industria, dopo diversi secoli di disastri, possiede così grandi risorse, bisogna concludere che ben amministrata sarebbe uno degli stati più ricchi d'Europa, e che gli antichi non hanno avuto torto a rappresentarcela come un paese celebre per la sua grandezza, per la sua popolazione e per l'abbondanza della sua produzione. »
Forse da qui dovremmo ripartire nella riflessione del ruolo della Sardegna al centro del Mediterraneo. Un ruolo che può affermarsi solo se sappiamo chi siamo stati nella Storia consci che, citando il vero di una poesia, “esiste in mezzo al tempo la possibilità di un’Isola”.