CAGLIARI. Indice Rt, comunicato dalla regione, a 0,74: rischia di essere tra i più bassi d'Italia. Un'incidenza dei nuovi contagi pari a 63 ogni 100mila abitanti nell'arco di 7 giorni. Per capire: si inizia a parlare di zona bianca quando si va sotto i 50. E ancora: nuove positività settimanali ridotte del 32,9%. E pure dimissioni a raffica dei ricoverati in area medica e pressione sulle terapie intensive ad appena il 20 per cento, o poco più, dei posti letto disponibili.
Questi i dati del Covid in Sardegna a oggi, 6 maggio. Ma domani, venerdì, giorno del monitoraggio della cabina di regia nazionale e dell'assegnazione dei colori alle regioni, per l'Isola potrebbero non arrivare novità. Così potrebbe essere confermata la zona arancione, come previsto dall'ordinanza del ministro della Salute Roberto Speranza, firmata il 30 aprile e entrata in vigore il 3 maggio, valida per 14 giorni. "Fatte salve ulteriori riclassificazioni" si legge nel provvedimento. Finora questo passaggio è sempre stato interpretato solo in maniera restrittiva, cioè per riclassificazioni solo in peggio.
Ma oggi c'è una novità: secondo indiscrezioni la Val D'Aosta, entrata da lunedì scorso in zona rossa, potrebbe tornare in arancione già dal 10 maggio. Perché l'indice dei contagi è sceso considerevolmente, così come l'incidenza e la pressione sugli ospedali. Quindi la "riclassificazione" sembrerebbe possibile anche in meglio, dopo appena sette giorni. E su queste indiscrezioni si appoggiano le nuove speranze della Sardegna, che durante il giorno si sono fatte sempre più flebili.
La Regione ha già giocato la sua carta: Solinas e il suo assessore alla Sanità Mario Nieddu hanno inviato al ministero un dossier che riporta tutti i dati in calo della Sardegna, che parlano di una circolazione virale al minimo da tre settimane. Un documento corredato da una dichiarazione del governatore: la Sardegna deve entrare in zona gialla già da lunedì 10 maggio, mantenerla in arancione sarebbe irrazionale, oltre che dannoso per l'economia. Domani il verdetto. E la contesa non è più sul piano tecnico, ma politico. Perché se i numeri sono confortanti - e non se ne può dubitare - su uno dei piatti della bilancia ci sono migliaia di attività, come locali, bar e ristoranti, che vivrebbero la beffa di un'ulteriore chiusura nonostante una condizione epidemiologica tra le più tranquille d'Italia.