CAGLIARI. Non è dimostrabile in giudizio il nesso di causa-effetto tra le attività del poligono militare di Teulada e le morti e malattie di abitanti e soldati della zona. E la penisola Delta, quella così inquinata da essere stata dichiarata imbonificabile, è stata violentata per così tanti anni – e questo è stato dimostrato, con esiti impressionanti - che sarebbe impossibile individuare uno o più responsabili.
Con queste motivazioni, in sintesi, il pm della Procura della Repubblica di Cagliari Emanuele Secci ha chiesto l'archiviazione della lunga inchiesta per omicidio colposo, lesioni colpose e disastro ambientale che vedeva indagati generali e alti vertici militari che rispondono al nome di Giuseppe Valotto, Claudio Graziano, Danilo Errico, Domenico Rossi e Sandro Santroni. L'atto è stato notificato nei giorni scorsi agli avvocati Roberto Peara e Giacomo Doglio che, per conto di parenti delle vittime e di malati di cancro e altre patologie, avevano presentato vari esposti per fare luce sui pericoli delle attività addestrative che da decenni si svolgono all'interno della gigantesca area militare del sud ovest della Sardegna.
Il magistrato si è avvalso di consulenze, prelievi sul campo, analisi epidemiologiche sulla popolazione e analisi chimiche sui terreni e sul latte prodotto dal bestiame che pascola all'interno del poligono quando non si spara. Gli esami condotti sugli animali non hanno fatto emergere alcuna anomalia: tutti i valori sulla presenza di metalli pesanti sono nella norma.
Diverso il risultato dei sopralluoghi effettuati sul campo, alla ricerca di frammenti che dimostrassero che all'interno dell'area militare sono stati utilizzati missili Milan con testata al torio, materiale radioattivo. C'erano, eccome, e le misurazioni radiometriche hanno fatto emergere della anomalie.
Ma la consulenza affidata a Ernesto D'Aloja, professore ordinario di medicina legale dell'Università di Cagliari, ha stabilito che “non è consentito affermare l'esistenza di un nesso causale tra esposizione ambientale a diverse sostanze, polveri sottili, nanoparticelle e metalli pesanti e la comparsa di neoplasie classicamente correlate a esposizioni specifiche”. Insomma: le malattie che hanno colpito gli abitanti e i militari sono tutte di tipo multifattoriale. E non è detto, secondo il docente, che c'entri il poligono.
Per studiare le patologie, ma sotto il profilo epidemiologico, il magistrato ha chiesto anche l'aiuto del docente di Statistica della facoltà di Medicina di Firenze Annibale Biggeri, Che ha studiato le schede di dimissioni dagli ospedali, gli archivi anagrafici, le tabelle Inail e Inps dal '76 al 2014. “L'analisi”, si legge nelle carte dell'inchiesta, “non hanno fatto emergere evidenze di criticità nel profilo di salute della popolazione di Sant'Anna Arresi e Teulada”. Ma è stata messa in evidenza, piuttosto, “la presenza, in entrambi i Comuni, di patologie legate all'attività lavorativa svolta presso le industrie dell'area di Portoscuso e Portovesme”.
Secondo Biggeri c'è però il caso degli abitanti di Foxi, una piccola area a ridosso del poligono: qui potrebbe essere valida l'ipotesi di un nesso tra l'altissima incidenza di patologie cardiovascolari e le esercitazioni, che causano rumori (le esplosioni continue) e nuvole di polveri. Sono tutte persone, o loro figli, che erano state sgomberate per fare spazio ai militari, che vivono da anni una situazione di “post-disastro”.
C'è poi l'ampio capitolo della Penisola Delta. È la lingua di terra che si insinua più a sud nel mare davanti a Capo Teulada. Qui il disastro è documentato e noto a tutti: tanto che l'accesso è stato interdetto già dagli anni Settanta. Veniva usata come bersaglio: navi e arei, e qualunque altro mezzo da guerra, ci hanno sparato contro di tutto per decine di anni.
Dalla documentazione acquisita dalla Procura è emerso che “solo tra il 2009 e il 2014 sono stati sparati contro la Penisola Delta circa 860mila colpi, corrispondenti a circa 556 tonnellate di armamenti”. E tutto è rimasto lì. Non è stato possibile documentare quanto e cosa sia stato sparato sulla Delta nei cinquant'anni precedenti. L'inferno in terra. Tanto che i consulenti tecnici della Procura parlano di “alterazione irreversibile riguardante i suoli e la componente floristico-vegetazionale”, con “danni all'equilibrio dell'ecosistema attualmente incapace di recuperare autonomamente le originarie condizioni di naturalità.
Negli anni scorsi si era parlato dei nuraghi e dei siti archeologici presenti all'interno del Poligono di Teulada, danneggiati dai bombardamenti.. Il pm ha voluto vederci chiaro, anche in questo caso. “Ma le indagini svolte”, si legge, “non hanno permesso di collocare nel tempo i fatto di danneggiamento verosimilmente assai risalenti nel tempo, e quindi di identificare i responsabili”.
Conclusioni? La devastazione ambientale c'è stata, i morti pure. Ma nel primo caso è durata così a lungo che davanti a un giudice non sarebbe possibile dimostrare, secondo il pm, delle responsabilità personali, vista l'articolazione delle gerarchie militari e il numero di divise che si sono alternate nelle varie posizioni. In più tutti i coinvolti, sentiti dagli inquirenti, hanno agito come avevano fatto i loro predecessori. E sino a qualche anno fa erano considerate preminenti le attività addestrative rispetto ad altri valori come la tutela ambientale. E su vittime e malattie? Il nesso di causa (esercitazioni) – effetto sarebbe difficile da dimostrare in giudizio. In più non può essere dimostrato nemmeno l'omesso controllo da parte dei vertici militari responsabili del Poligono. Da qui la richiesta di archiviazione. Contro la quale gli avvocati Peara e Doglio stanno già preparando l'opposizione. La battaglia legale non è finita. Come non è finita quella che ogni giorno, fatta con armi vere, va in scena dentro il poligono.
Morti e devastazione ci sono, i responsabili no: poligono di Teulada, chiesta l'archiviazione
- E.F.
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