CAGLIARI. Sette anni per allineare tutti gli allevamenti che vogliono destinare il proprio latte alla produzione di Pecorino romano alle razze di pecore: Sarda, compresa la sub-popolazione Nera di Arbus, Razza Vissana, Razza Sopravissana, Razza Comisana, Razza Massese, Razza Pecora dell’Amiata. È la decisione assunta il 12 gennaio scorso dall’assemblea del Consorzio del Pecorino Romano Dop alla quale hanno espresso la propria contrarietà la Cooperativa pastori Dorgali e la Cooperativa Armentizia Moderna di Guspini.
“Deliberare sette anni per la riconversione delle greggi è una eternità che non ha alcun fondamento scientifico – lo afferma il presidente di Coldiretti Nuoro Ogliastra e della Coop pastori di Dorgali Leonardo Salis -. Tra l’altro con i tempi del ministero gli anni si allungherebbero a nove. Non la vedo assolutamente come una vittoria ma come una sconfitta per chi come noi e tutti i pastori che si erano schierati per la tolleranza zero alle razze diverse da quelle autoctone. Posizione che ho confermato con una pec inviata a nome della Cooperativa che rappresento al Consorzio del Pecorino il giorno dell’assemblea alla quale non ho potuto partecipare perché impegnato in ovile dove non avevo neppure connessione per collegarmi da remoto. Ed infatti – ribadisce - i trasformatori del Consorzio che avevano proposto di aprire al 10% del latte proveniente da altre razze diverse dalle autoctone si sono ritrovati miracolosamente unanimi nel deliberare per i sette anni di riconversione. Qual è il valore aggiunto e i benefici che porta alla filiera questo latte? Perché ci si è avventurati in questa proposta di primo acchito bizzarra ma evidentemente con una sua logica? E in base a quale studio scientifico si sono decisi i sette anni di riconversione? O si basa il futuro del pecorino più importante sardo, quello che decide il prezzo del latte e quindi le sorti di 12mila aziende, a sentimento? Dalle interlocuzioni con l’Associazione regionale allevatori sardi, basterebbero al massimo cinque anni per la riconversione e non nove, il doppio”.
I due presidenti delle Cooperative di Dorgali e Guspini, Leonardo Salis e Roberto Tuveri, con mandato unanime dei propri soci sulla “tolleranza zero”, spiegano: “non siamo assolutamente contrari all’allevamento di pecore diverse da quelle autoctone ma lo siamo per il loro utilizzo per la produzione del Pecorino romano Dop, cosi come per tutte le altre Dop e i formaggi tradizionali, pecorini che come da tradizione appunto sono prodotti in Sardegna con latte proveniente da pecore di razza sarda allevate al pascolo. Non a caso siamo la prima regione del Mediterraneo in cui si pratica l’allevamento degli animali al pascolo (il 70 % della superficie isolana). Le pecore si nutrono per l’80% dalle essenze foraggere spontanee o coltivate e questo rende inscindibile il legame dell’elevata qualità dei prodotti caseari e delle carni dalle forme paesaggistiche in cui sono ottenuti”.
“Non giriamoci attorno! Con nove anni di transizione si è deciso di non decidere e di lasciare campo libero anche al latte della altre razze come la Assaf e la Lacaune non abituiate al pascolo ma ad essere allevate a stabulazione fissa – dice Leonardo Salis –; tra l’altro in contraddizione con la decisione del Consorzio di utilizzare in deroga il 50 per cento di sostanza secca quando non c’è erba nei campi per motivi stagionali. Si apre invece a razze sconosciute alla tradizione e quindi ad un latte slegato dal territorio che può essere prodotto ovunque. Il pecorino perde la sua identità, il suo legame con il territorio. Insomma viene a mancare un punto di forza fondamentale che lo rende unico”.
Altra contraddizione di questa decisione secondo i due presidenti Salis e Tuveri è che la posizione del Consorzio che apre alle altre razze di pecore è diametralmente opposta a quando, fino a poco tempo fa, durante le crisi di prezzo del Pecorino romano adducevano che la responsabilità “era dovuta alla sovrapproduzione di latte". Mentre oggi si apre a razze che producono in media molto più latte rispetto a quelle autoctone.
“Questa decisione è l’ennesima dimostrazione che i pastori all’interno del Consorzio non hanno voce in capitolo – affermano Leonardo Salis e Roberto Tuveri -. Per statuto l’assemblea del Consorzio è rappresentata dal 66% dei trasformatori e dal 17% dei produttori e 17% stagionatori, di fatto quel 17% non conta. Da parte dei pastori c’è una contrarietà diffusa a cui non si è dato voce, pur prendendo decisioni che interessano principalmente loro. Attendiamo le motivazione e i benefici che ne trarrà la filiera dalla decisione che hanno portato il Consorzio dapprima ad aprire al 10% di latte di pecore di altre razze e successivamente alla decisione di estendere a sette (nove) anni il periodo di riconversione delle greggi”.
- Redazione