Ricorre oggi il trentennale della morte di Keith Haring, un artista notissimo in tutto il mondo che rappresenta una vera e propria icona della street art e della pop art. Haring, nonostante sia morto molto giovane (il 16 febbraio del 1990 a soli 31 anni, a causa di patologie correlate all'Hiv/Aids) è un personaggio che resta impresso nella memoria collettiva. Haring viene considerato uno dei massimi rappresentanti dell'arte americana contemporanea insieme a pochi altri del calibro di Andy Wharol o del suo grande amico Jean-Michel Basquiat, scomparsi entrambi pochi anni prima di lui, alla fine degli anni ottanta. Nato come un artista di strada, un graffitaro che dipingeva murales illegali sui manifesti pubblicitari delle stazioni della metropolitana newyorkese, oggi le sue opere non occupano più solo spazi all'aperto ma sono ovunque. Anche dentro di noi. Sono opere d'arte e pittura costituite da un segno inconfondibile, quello di Keith. Ma non bisogna dimenticare anche quanto Haring abbia rappresentato e rappresenti per molti grazie al suo impegno per i diritti civili. Artista omosessuale, politicamente impegnato, che ha contratto l’Hiv e ha vissuto in prima persona lo stigma e la discriminazione nell'America degli anni ottanta e ha combattuto, pubblicamente in quegli anni bui, molte delle lotte della comunità LGBT a cui apparteneva, testimoniando il proprio impegno con le proprie opere che ha dipinto fino alla sua morte, avvenuta a causa dell’Aids, prima della scoperta delle moderne terapie anti-retrovirali che avrebbero potuto salvare la vita a lui e a tanti altri della sua generazione.
Arte e pittura dotate di un linguaggio universale in grado di contaminare e rimescolare costantemente i diversi livelli di espressività “popular” proveniente dal basso, dall’arte murale più povera, dalla musica hip-hop, dal rap, dal graffitismo e la street art dei ghetti urbani delle periferie delle metropoli ovunque nel mondo. Arte che mescola e contamina quelle altre forme d’arte che pensiamo invece provenienti in qualche modo dall’alto. Solo perché le pensiamo essere forme d’arte più “colta” in quanto densa di riferimenti culturali o citazionisti verso i tanti padri nobili della pittura e dell’arte figurativa che la precedono. Arte che pensiamo “colta” se guarda indietro verso il futurismo, il primitivismo, il cubismo, il dadaismo o il surrealismo. Arte che pensiamo colta in quanto ricca di strati interpretativi diversi e in grado di mutare attraverso i linguaggi contemporanei che la attraversano.
Foto: Keith Haring a Pisa, di fronte alla sua opera "Tuttomondo"
Ecco, Haring e ben pochi altri artisti contemporanei sono stati in grado di interpretare e deviare per il proprio scopo espressivo , durante la propria vita, tutte queste mutevoli forme d'arte “alte” e “basse”. Ben pochi sono stati in grado di rigenerarsi, ogni volta in modo uguale e anche diverso, nelle loro diverse opere. Ben pochi sono riusciti a rigenerare, contemporaneamente riconciliandoli, tutti i linguaggi dell’arte. Ancora meno sono gli artisti che, durante la propria breve vita e durante il XX secolo, siano stati in grado di metter tutti d’accordo. Critici d’arte, estimatori, collezionisti, galleristi ma anche le persone che si incontrano ogni giorno per strada o in metropolitana. Perché non è semplice saper utilizzare e miscelare tutti questi elementi tra loro solo in apparenza distanti: comunicazione pubblicitaria, immaginario popolare, pittura e arte contemporanea, arte murale e di strada, disegno grafico e fumetto. Solo saper unire tutte queste forme d'arte sotto un'unica cifra riconoscibile è quello che può rendere grande e iconico un artista contemporaneo.
Ecco perché Keith è stato un grande artista contemporaneo con la propria arte che a noi oggi appare pienamente figlia del proprio tempo e contemporaneamente senza tempo. Come solo quella dei grandi artisti di ogni tempo può essere. Eppure queste sue opere ci appaiono, a prima vista, quasi banali e disarmanti. Quasi quanto sembrano esserlo le geometrie a colori di Mondrian o le macchie azzurre nelle "Anthropométrie" di Klein.
Banali e disarmanti per per la loro apparente ed estrema semplicità. Anche quelle di Keith sono cosi. Opere composte da un groviglio di elementi umani dai tratti antropomorfi che mutano in animali appena accennati. Decine di figurine umane mutanti stilizzate, tutte in movimento e sempre senza volto, sgargianti e multicolore, forme irriconoscibili ma riconoscibili per tutti. E’ un segno il suo che sembra nascere ispirandosi all'arte pop per eccellenza, quella considerata per lungo tempo la più minore e la più popolare, ovvero fumetti e cartoons, sopratutto quelli destinati ai bimbi più piccoli.
Ma, vista oggi con gli occhi di un osservatore più attento riconosciamo quella di Haring come un arte superiore proprio perchè così infantile e popolare. Forma d'arte in grado di richiamare il substrato ancestrale più profondo, da sempre presente nella nostra memoria collettiva. Quella di Keith Haring è un'arte immediata e non mediata. Come una glossolalia in grado di riprodurre i vagiti infantili o i suoni gutturali che si comprenda tutti senza dover conoscer nessuna lingua. Arte istintiva e primitiva, moderna contemporanea e urbana, un’arte quotidiana nata "on the road" che sentiamo semplice, quasi fosse un gioco. Ma si rivela complessa allo stesso tempo, come una esperienza quasi onirica che ci appare immediatamente familiare perchè in grado di portarci a ritroso nel tempo. Arte che riesce istintivamente a catapultare, chiunque la osservi, di fronte alle pareti dei monumenti dell'antico Egitto ricche di geroglifici o sulle rocce disegnate dagli aborigeni australiani, portandoci fino alle pitture rupestri dei nostri antenati. Verso tante altre arti "murali" e verso luoghi e tempi diversi della civiltà umana dal nostro immaginario contemporaneo fino alla caverna illuminata da un fuoco, che dipinge delle ombre alle pareti, da cui, probabilmente, proviene qualsiasi segno grafico o artistico della Storia dell’Uomo.
Una forma d'arte inconfondibile quella di Haring. Di cui il nostro immaginario contemporaneo difficilmente potrebbe fare a meno. Arte che troviamo, esposta e replicata, ricercata e osannata ovunque. Non solo nei musei o nelle strade che ospitano sue opere originali ma soprattutto tra la gente. Arte seriale e popolare che viene usata e riprodotta su infiniti oggetti di merchandising, magliette, poster. Arte serialmente riproducibile nel mondo materiale e anche in quello virtuale (grazie agli infiniti "cut-up" digitali di cui probabilmente un altro artista iconico della controcultura come William Burroughs andrebbe fiero). Arte che prolifera e si riproduce, anche mutando, in centinaia di migliaia, o forse milioni, di immagini, flyer e locandine di eventi, manifesti, banner che affollano il web e i social. E' arte di cui siamo in qualche modo permeati. Dato che pervade e anche invade con irruenza il nostro immaginario digitale contemporaneo. Ma quando ti capita di ritrovarla nella sua materialità a ricoprire un gigantesco affresco murale in grande formato (come nel caso dello splendido dipinto murale "Tuttomondo", una delle sue ultime opere, realizzato a Pisa nell'estate del 1989) nella sua esplosione di luce multicolore, è arte per tutta l’Umanità. Arte che ti lascia senza fiato e ti commuove.
Keith Haring, un'icona pop a 30 anni dalla morte.
- Arnaldo Pontis