Italia e mondo

Cina-Africa-Mediterraneo, la sfida mondiale delle Autostrade del Mare

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CAGLIARI. Il mare unisce, non divide: collega le terre. Chi osserva la rivoluzione economica mondiale nel primo secolo del nuovo millennio lo sa. Guarda alla Cina e pensa al Mediterraneo: una piattaforma logistica liquida circondata da porti dove gli scambi, già vivaci, devono essere pronti ad accogliere il gigante che sta muovendo i primi passi sulla Via della Seta.

La mutazione è già in atto. Il suono delle marce basse delle ralle riempie l'aria della banchina mentre i mezzi seguono percorsi non tracciati. Ma sempre quelli sono: chi guida li conosce alla perfezione. L'uomo a terra aggancia il semirimorchio. Il rallista parte: i suoi spostamenti sono segnalati da un lampeggiante arancione. Nell'area di manovra innesta la retromarcia. Ecco l'altro suono del porto: il beep-beep acuto che avverte della manovra in corso. Quella che porta alla rampa d'ingresso della pancia della nave. A bordo c'è chi sgancia, si occupa del rizzaggio. La ralla torna a terra. Ne incrocia un'altra che sale col carico. Così per decine, centinaia di volte a ogni imbarco. Il rito delle merci fra terra e mare. Il piazzale si svuota, salgono i driver con i camion che hanno atteso nella loro fila ordinata. Poi i passeggeri, in auto e a piedi. Sempre in quest'ordine? “Dipende”, dice chi sovrintende alle operazioni. Per valutare contano i numeri, la stagione, l'orario, la rotta.

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Operazioni di carico al porto di Livorno

Così si ragiona a Livorno, Olbia, Civitavecchia, Barcellona, Ancona, Igoumenitsa, a Cipro, in Croazia. E così in Italia ogni anno spariscono dalle strade 190.000 Tir, si riempiono 67 milioni e 600 mila metri lineari di stiva, si evita l'immissione in atmosfera di 700.000 tonnellate di anidride carbonica. Il calcolo lo ha fatto l'Agenzia europea per l'Ambiente: una tonnellata di beni che viaggia per un chilometro via mare produce 15 grammi di Co2, se va su gomma i grammi sono 120. Andando per mare è come se si cancellasse una città di un milione di abitanti caratterizzata da un traffico caotico con un alto tasso di incidenti. Se si alza lo sguardo verso l'orizzonte europeo, i numeri diventano a nove zeri: due i miliardi di tonnellate di merci movimentate secondo l'ultimo rapporto Eurostat, 605 milioni solo tra i principali porti del Mediterraneo. Gli scali della Penisola sono i più attivi, primi per distacco con con 218 milioni di tonnellate (il 36% del totale): l'export via mare dell'Italia nel 2018 (un terzo del totale) secondo i bilanci di Assoporti ha superato i 120 miliardi di euro (più 4% rispetto all'anno precedente). Dati consolidati, destinati a crescere. Nel Mare Nostrum, ma non solo. Lo dicono le tendenze dell'ultimo decennio, lo certificano gli studi sul settore che guardano allo sviluppo dello Short Sea Shipping nel medio-lungo periodo e lo prevedono tanto gli addetti ai lavori quanto gli analisti economici. In più, se la curva di sviluppo è costante, sta per subire un'impennata: la Cina si avvicina, investe a nord e produce in Africa. Le Autostrade del Mare stanno per accogliere le merci che viaggiano sulla Via della Seta.

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Operazioni di carico al porto di Olbia

DUE VELOCITÀ. Sono infrastrutture immateriali, i vantaggi sono concreti e tangibili. “Tra il 2014 e il 2018 il Pil italiano è variato di poco più del 3%. Quello delle Autostrade del Mare, nello stesso periodo, è cresciuto del 28,5”. Francesco Benevolo ha un osservatorio privilegiato: è il direttore operativo di Ram Logistica, Infrastrutture e Trasporti, la Spa in house del ministero delle Infrastrutture nata nel 2004 per occuparsi della Rete delle Autostrade del Mediterraneo. Dal suo ufficio di via Nomentana a Roma il dirigente parla di decoupling, disaccoppiamento: due andamenti economici che dovrebbero essere correlati si separano. Lo sviluppo sull'acqua è più veloce di quello sulla terraferma: “Il nostro”, spiega Benevolo, “è un settore iper-reattivo. Nel 2004, quando si è iniziato a parlarne, le Autostrade del Mare quasi non esistevano. Per dire: c'era un collegamento settimanale Civitavecchia-Barcellona. Ora oltre la metà del traffico merci tra Italia e Spagna viaggia via mare: sono passi da gigante”. Compiuti grazie agli incentivi statali (180 milioni in due anni per togliere i Tir dalle strade e caricarli in stiva), agli investimenti sulla logistica (i 50 milioni di Rfi sull'ultimo miglio delle tratte ferroviarie) o sulle infrastrutture materiali (banchine) o tecnologiche (la rete UirNet, che connette i terminal con i trasportatori, per evitare il collo di bottiglia ai varchi portuali). C'è stata la capacità di intercettare una tendenza e di adeguarsi. La prossima sfida prevede di riuscire a stare al passo con una nuova accelerata.

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L'incidenza dello Short Sea Shipping sul totale dei trasporti via mare in Europa (Fonte: McKinsey Company)

GLOBALIZZAZIONE REGIONALIZZATA. “Lo Short Sea Shipping, la navigazione a corto raggio tra porti situati nello stesso bacino, sta crescendo a livello mondiale: in Europa, negli Stati Uniti, in Indonesia. Perché? Le catene logistiche si stanno regionalizzando: eravamo abituati a pensare in termini di globalizzazione, invece le merci si stanno spostando su aree macro, ma delimitate nello spazio. Lì si produce e lì si consuma. Le tratte oceaniche non sono il futuro”. La risposta di Benevolo arriva dal dossier che ha sotto gli occhi. È “Globalizzazione in transizione: il futuro del commercio e delle catene di valore”, redatto a gennaio 2019 dalla McKinsey Company, una delle principali società di consulenza manageriale del globo. C'è una tendenza che si è invertita. Tra il 2000 e il 2012 il commercio intraregionale (inteso come opposto a quello che vede venditore e compratore molto distanti tra loro) era sceso dal 51% al 45%, fatto cento il movimento complessivo di beni. Dal 2013 ha fatto registrare un incremento di 2,7 punti percentuali, “con una ulteriore crescita”, è scritto nel report, “che si prevede in accelerazione tra il 2020 e il 2022, in concomitanza con lo sviluppo dei mercati emergenti”. Quello dei Paesi che sono sempre stati definiti “in via di sviluppo”: adesso si stanno sviluppando davvero. Primi fra tutti, gli africani. L'iniezione tonificante di capitali in quello che veniva definito “il continente nero” arriva dalle casse di Pechino: si stima che oltre 10.000 imprese cinesi investano in Africa, con 5 miliardi immessi tra il 2010 e il 2018 solo nelle regioni del nord meno turbolente, che si affacciano sul mare, per impiantare industrie manifatturiere. Somme che si inseriscono nel più ampio quadro della Belt&Road Initative, la nuova Via della Seta. Stando a un recente report del centro studi Srm, in quest'ambito sono già stati censiti interventi infrastrutturali per 41 miliardi di dollari. Il 21% è destinato ai porti. Il Mediterraneo torna centrale. Dove un tempo veleggiavano cartaginesi, fenici e romani, poi gli spagnoli, poi ancora i capitani delle Repubbliche marinare, torneranno a viaggiare le merci del mondo. “L'Africa diventerà la Cina della Cina”, chiosa Benevolo che affila le armi logistiche della Ram, “e noi dobbiamo essere pronti”. L'Italia è lì, sull'altra sponda.

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Statua in riva al mare a Livorno

I TRASPORTATORI. Ma cosa pensa chi, nato per trasportare, viene trasportato? Un'analisi superficiale potrebbe portare a pensare che i primi nemici dei viaggi sull'acqua siano coloro che campano sugli pneumatici. “L'idea comune è quella del camionista che fa tardi, si ferma a magna' (sic), ha la pancia grande: se fosse davvero così l'Italia sarebbe ferma. Se con le Autostrade del Mare siamo primi nel Mediterraneo, per distacco, con il 36% dei movimenti, è perché il sistema della logistica funziona. Anche grazie a noi”. Parole convinte quelle di Patrizio Loffarelli, che per conto dell'associazione di categoria Assotir si occupa di intermodalità e porti. Dal campo vede vizi e virtù dell'ultimo miglio terrestre: “Quando si parla di container, dove ci sono passaggi burocratici complessi che coinvolgono 25 enti, siamo tra gli ultimi Paesi in Europa. Con le Autostrade del Mare, che hanno snellito le procedure, vinciamo”. Loffarelli sostiene che con gli attuali equilibri economici internazionali sia difficile che la quota di mercato possa aumentare. Ma anche lui ha una convinzione: “La produzione di beni si sposterà in Africa”. L'Italia è pronta? Nella risposta ci sono le coordinate per gli interventi necessari per fare in modo che la merce, in entrata e in uscita, arrivi e vada a destinazione in tempi rapidi. Che sono quelli richiesti dal cliente: “Bisogna evitare la diaspora delle carte, inutili giri di camion, è necessario organizzare i gate”. A Civitavecchia, in collaborazione con l'Autorità portuale, sta allestendo il “Villaggio del trasporto”: “Quattro moduli abitativi, 2.500 metri quadrati a ridosso del varco doganale, vicino alla pesa, accanto ai terminal: lo spedizioniere sa dove andare a consegnare i documenti alle imprese. Pare una stupidaggine? Se sorge un problema è tutto lì, lo risolviamo in tre minuti. Non in 45, con un blocco del varco del porto e il rischio di pregiudicare la consegna. L'ottimizzazione parte dalle piccolezze: se io miglioro qua, il terminal lì e le operazioni si velocizzano, arriviamo a guadagnare circa tre ore. L'autista ha un limite giornaliero di guida di nove, quelle necessarie per arrivare da Civitavecchia al resto d'Italia”. Quindi, per Loffarelli, “se ne perde tre a sbrigare pratiche, la merce arriva in due giorni. Non in uno. Deve stare fermo un giro. E rimaniamo indietro”.

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La merce viaggia su gomma verso il porto

LE AUTHORITY. Il privato guarda ai suoi interessi, che in questo caso sono identici a quelli del pubblico, rappresentato  dal ministero delle Infrastrutture nella sua declinazione delle Autorità portuali. L'obiettivo comune è l'incremento dei traffici. A Civitavecchia il governo dell'Authority è affidato all'avvocato Francesco Maria Di Majo. A bilancio ha già 50 milioni di un finanziamento complessivo di 195 che arriva dalla Banca europea degli investimenti. Soldi destinati a Fiumicino, ma soprattutto a Civitavecchia: le opere riguardano lo sviluppo delle banchine, con un parcheggio di 15 ettari, oltre al collegamento ferroviario (passeggeri e merci) diretto. “È in aggiudicazione”, spiega Di Majo, “l'appalto per un nuovo pontile di 200 metri all'interno della darsena traghetti”. Un intervento strategico concordato a livello europeo: “Sarà realizzato con un contributo della Commissione per un progetto sulle Autostrade del Mare che abbiamo realizzato insieme a Barcellona. Così si rafforza il legame tra la Penisola iberica e il centro Italia”. Il mare ancora una volta non separa, ma collega le terre.

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La fila dei camion in attesa dell'imbarco 

SARDEGNA. Lo sanno bene in Sardegna. Da qui e per qui le merci possono viaggiare solo via nave. Per questo l'isola è tagliata fuori dagli incentivi per le Autostrade del mare: i camion devono essere imbarcati, l'alternativa da eliminare non c'è. “Certo, si potrebbe considerare che la maggior parte delle attività produttive sorgono nella parte meridionale, mentre il porto con maggiore traffico di merci è quello di Olbia, a nord-est. Si potrebbe quindi ipotizzare un incentivo per potenziare i collegamenti marittimi diretti con Cagliari e eliminare il traffico di Tir che viaggiano su una rete stradale obsoleta per raggiungere lo sbocco gallurese verso il  cosiddetto continente”: ipotesi avanzata dal presidente dell'Autorità di sistema dei porti sardi, Massimo Deiana. Che è consapevole, però, dell'esiguità del bacino di consumo e della scarsità di prodotti da esportare. Una leva economica debole. Lo scenario cambia con il traffico passeggeri. E qui la Sardegna, in pochi mesi estivi, primeggia. È appetibile. Le compagnie si contendono le rotte. Il regime di continuità territoriale marittima, che prevede collegamenti sovvenzionati dallo Stato, così com'è droga il mercato. La riforma è data per imminente. La attendono gli armatori. La aspettano i sardi: sono loro a viaggiare tutto l'anno.

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IL VIAGGIO. Chi da Cagliari deve partire per Livorno deve imbarcarsi a Olbia. Oltre 240 chilometri di Statale vecchia, costellata di cartelli di lavori in corso che non sono mai nemmeno iniziati. Si guida allo stesso orario dei trasportatori che percorrono la medesima tratta: lungo strada si superano decine di Tir. Al tramonto ci si trova tutti in banchina, in attesa dell'imbarco sulla Cruise Olbia della Grimaldi. Lavorano le ralle. Si ripete il rito tra terra e mare. Le procedure sono rapide. Un leggero maestrale diffonde e amplifica quell'odore tipico di porto che nessuno scrittore di nessuna latitudine è riuscito davvero a descrivere.Una volta  a bordo, l'assegnazione delle cabine è rapida. I driver ritirano i buoni per la cena, occupano la cuccetta. E capita che ci si ritrovi tutti davanti a un televisore nella sala comune. C'è la Champions, una partita decisiva per la Juventus. Dopo il fischio finale i trasportatori possono andare a dormire. Sono al lavoro, viaggiano. Ma per loro in questa fase fa tutto la nave con il suo equipaggio. L'indomani, sull'altra sponda del Tirreno, si riparte. In tutti i porti è così tutti i giorni. Migliaia di mezzi salgono a bordo, altrettanti scendono.

È il mondo che si muove. Così nel Mediterraneo come nell'estremo oriente, sempre più vicini.