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UTA. "E’ stato trasferito da Lanciano, in Puglia, nel cui carcere si trovava dal 5 settembre 2024, in attesa di giudizio, per effettuare delle cure sanitarie nel Sai (Servizio assistenza integrata) della casa circondariale di Cagliari-Uta, ma ormai A.M. da 4 mesi aspetta di ritornare nell’Istituto di provenienza. Sembra che il Dap (Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria) lo abbia “dimenticato” in Sardegna e, nonostante alcuni solleciti, è ancora in una cella del carcere cagliaritano”. Lo rende noto Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme” che ha ricevuto alcune lettere dai familiari impossibilitati a svolgere regolari colloqui con il congiunto per l’incolmabile distanza.
“Si tratta – sottolinea Caligaris – di un detenuto dell’alta sicurezza protetto promiscuo cioè una persona che con reati di tipo associativo, per particolari ragioni, deve stare in condizione di protezione e/o isolamento dagli altri. Non può altresì stare a contatto con i ristretti comuni ma soprattutto non può effettuare colloqui con i familiari e neanche quelli in videochiamata con la compagna e il figlio”.
Earriva anche la richiesta della famiglia: “Noi non chiediamo che il nostro familiare abbia un trattamento di favore – hanno scritto i parenti a Sdr – vogliamo però che ritorni in un carcere, come quello di provenienza, per consentirci almeno di poter fare qualche colloquio in presenza o con le videochiamate. Il carcere di Lanciano, per chi vive in Puglia o nel territorio della Penisola è infatti raggiungibile. La Sardegna invece è troppo lontana e il viaggio molto costoso. E’ inoltre impossibile, inspiegabilmente, fare videochiamate. Tra l’altro la permanenza nell’Istituto Penitenziario cagliaritano non ha risolto i problemi di salute anzi riteniamo che la distanza dai parenti abbia agito negativamente. In ogni caso ci risulta che abbia concluso il suo percorso sanitario e non ci siano quindi più le ragioni di una sua ulteriore permanenza a Cagliari”.
“Aldilà delle considerazioni dei parenti – chiude Caligaris – resta un mistero perché il Dipartimento così sensibile nel trasferimento per una nobile causa non agisca con la stessa sollecitudine e cura quando si tratta di riportare le persone dai luoghi di provenienza. Ancora una volta la territorialità della pena e il rispetto dei rapporti affettivi soprattutto in presenza di minori non sembra preoccuparlo. Ma non lo preoccupa nemmeno il fatto che in una casa circondariale sovraffollata e con una grave carenza di agenti penitenziari la presenza di detenuti promiscui complica decisamente il lavoro degli operatori carcerari che devono salvaguardare non solo l’incolumità della persona ma anche garantire l’assenza di contatti e/o incontri pericolosi per la sicurezza di tutti”.