Foto Centotrentuno /Valerio Spano
CAGLIARI. Il presidente rossoblù Tommaso Giulini è stato ospite della trasmissione “Goal Economy”, condotta dal giornalista Marco Bellinazzo su Radio TV Serie A, e ha parlato a tutto campo di temi più caldi del periodo: dal nuovo stadio al rapporto con i sardi.
Qui le dichiarazioni integrali:
QUANDO TUTTO INIZIÒ
“La scelta di acquistare il Cagliari arrivò in modo un po’ improvviso. Mi ha sempre animato una grande passione per il calcio, prima da giovane calciatore nell’Orione e poi nel Settore Giovanile del Milan che ha fatto la storia con Berlusconi presidente. Ho avuto la fortuna di vivere esperienze incredibili, penso a una rieducazione post-infortunio accanto a Ruud Gullit o ancor di più al vedere da vicino l’attenzione di un dirigente come Adriano Galliani per il vivaio e la struttura del Club a tutto tondo. Sono stato un modesto portiere fino ai 35 anni, mio padre Carlo Enrico è stato un pioniere nell’industria, iniziando come dipendente metalmeccanico e poi avviando l’estrazione di fluorite in Sardegna, a Silius: la fluorite è una delle materie prime per l’industria del freddo e dell’alluminio. Fluorsid è diventata così leader di un mercato di nicchia, come l’industria dell’alluminio, in particolare dopo la cessazione dell’attività mineraria”.
LEGAMI FONDAMENTALI
“A fine anni Sessanta mio padre, che con Angelo Moratti si dice avesse condiviso l’esperienza bellica nella Savoia Cavalleria, apriva insieme ad altri industriali un’era fondamentale per la Sardegna. A metà anni Novanta, nel 1995, Massimo Moratti acquistava l’Inter e per noi, che avevamo sempre tenuto un profilo basso, la novità era dettata dalla visibilità fornita dall’essere dentro un Consiglio di Amministrazione di una Società di Serie A, che venne ovviamente sciolto nel 2014 con la cessione dei nerazzurri a Erick Thohir. Fu in quel periodo che l’avvocato Mariano Delogu, nostro legale storico in Sardegna, iniziò a prospettarmi la possibilità che il Cagliari venisse venduto. Con grande esperienza mi introdusse nella trattativa e da lì tutto partì. Non mi sono mai sentito o confrontato più di tanto con Massimo Moratti, mi ha sempre infastidito l’accostamento fatto dai media sul mio presunto coinvolgimento nell’Inter in questi anni, e devo dire che Massimo con grande delicatezza ha sempre capito queste dinamiche e non mi ha mai chiamato”.
ESEMPIO ENORME
“Il primo pensiero di fronte a questa opportunità andò a una lunghissima chiacchierata che ebbi il privilegio di fare con Gigi Riva tre anni prima nel suo ufficio, un onore per pochi. Dalle parole e dagli sguardi di Gigi percepii realmente quello che avevo letto e ascoltato dai racconti degli altri, avevo appreso da lui cosa rappresenta il Cagliari per i cagliaritani e i sardi. Inizialmente mi mise in guardia dalla forte responsabilità che avrei dovuto assumermi, ma poi è iniziata questa lunga avventura”.
IL RAPPORTO CON LA GENTE
“Frequento la Sardegna stabilmente da quando ho 27 anni, ci vado praticamente ogni settimana. Uno dei miei figli è nato a Cagliari, poi dovette rimanere a lungo in ospedale e vivemmo un periodo complicato, questo è uno dei motivi per cui non viviamo in città e probabilmente ha limitato un po’ quella coesione con la gente e col territorio. Purtroppo mi manca vivere a 360 gradi Cagliari e la Sardegna. Il mio trascorso milanese, prima nel Milan e poi nell’Inter, magari non aiuta, in aggiunta al fatto che sono arrivato dopo un presidente viscerale, sanguigno, come quelli di una volta e di un altro tipo di calcio”.
IL BELLO E IL BRUTTO
“I miei anni e quelli di Cellino, sommati, mettono insieme buona parte degli anni di Serie A che il Cagliari annovera nella sua storia. Il momento più doloroso di questo decennio è sicuramente la retrocessione di Venezia nel 2022, al termine di una stagione dove ci portavamo dietro parecchi errori: non riuscimmo a vincere quella partita, sulla carta scontata, cosa che probabilmente con uno spogliatoio sano e una preparazione adeguata avremmo fatto. Scoppiò la contestazione, fu una retrocessione sanguinosa. Di momenti indimenticabili ce ne sono tanti, direi sicuramente la prima promozione dalla Serie B, perché a tutti coloro che fanno calcio e lo seguono piace vincere al di là della categoria: ricordo il gol di Sau in rovesciata a Vercelli per farci vincere il campionato davanti al Crotone di Juric. E poi altri due capitoli recenti: l’altra promozione a Bari nel 2023 in uno stadio già festante, all’ultimo secondo con il gol di Pavoletti, la nostra resurrezione completata, poi la salvezza della scorsa stagione a Reggio Emilia. Qualche giorno prima della partita decisiva per la salvezza, mister Ranieri – che è stato fondamentale per quella resurrezione – mi disse che ormai gli pesava tanto fare avanti e indietro da Roma e che sperava di chiudere la sua carriera nei club con una salvezza. Furono giorni difficili da gestire perché solo io e lui sapevamo che ci saremmo salutati, c’era molta ansia e per fortuna tutto andò bene. Il suo ritorno in panchina nella sua Roma è assolutamente comprensibile”.
I NUMERI
“Credo che la storia della nostra gestione in questo decennio sia un esempio perfetto nel bene e nel male per chiunque voglia fare calcio in un certo modo e a certi livelli. Nel 2014 iniziammo un quinquennio improntato alla sostenibilità, cambiando l’immagine del Cagliari sotto ogni punto di vista. In quei cinque anni abbiamo avuto la fortuna di poter fare crescere un talento enorme come Nicolò Barella. Dividerei il tutto in due parti, prima e dopo il Covid, con la crescita e poi la tempesta perfetta dopo la cessione di Barella, avvenuta a cifre record per quanto concerne i trasferimenti tra club italiani. Reinvestimmo tutto immediatamente per provare a fare un salto di qualità nell’organico e quindi nella classifica, puntando tutto su tre calciatori costati quasi 50 milioni: Simeone, l’unico che negli anni è stato poi rivenduto allo stesso prezzo; Nandez, che ha fatto cinque anni ottimi ma abbiamo perso a zero come spesso accade nel calcio di oggi; Rog, che purtroppo si è rotto tre volte il crociato e non ha potuto rendere come tutti speravamo. Si è alzato il monte ingaggi ed è scoppiato il Covid, nel mezzo di una stagione dove eravamo in alto in classifica e già a dicembre avevamo iniziato a perdere terreno. La stagione 2020-2021 ci vide salvi ma non fu positiva, solo adesso – con un percorso lungo e faticoso che durerà forse ancora un paio di stagioni – si sta risollevando la barca. Il calcio ha bisogno di maggiore etica e sostenibilità, io sono per un modello più americano con salary cap dove si compete per competenza e non per portafoglio”.
IL NUOVO STADIO
“Una strada molto lunga, perché abbiamo ereditato quasi il nulla: il Sant’Elia era aperto a 5000 persone, la riportammo in fretta a 16000 e costruimmo in quattro mesi uno stadio provvisorio, l’Unipol Domus, risultando un esempio per il calcio italiano: molti Club italiani e stranieri sono venuti a trovarci per capire come si potesse fare. L’amministrazione comunale dell’epoca, guidata come oggi dal sindaco Massimo Zedda, ci diede una grossa mano, insieme all’allora presidente della Lega Serie B Andrea Abodi (oggi Ministro dello Sport, ndr). Nella stessa pratica partimmo quindi con l’idea di uno stadio nuovo e definitivo, al posto del Sant’Elia. L’avvio registrò una certa velocità, ed era credibile pensare che nel giro di 5-6 anni saremmo arrivati all’inaugurazione del nuovo impianto. Poi con la giunta regionale guidata da Christian Solinas abbiamo di fatto perso cinque anni, c’è stato anche il Covid di mezzo, e il progetto è cambiato perché – a maggior ragione durante la pandemia – abbiamo deciso di eliminare il centro commerciale evitando di danneggiare i tanti commercianti del quartiere Sant’Elia e dintorni”.
L’ITER
“La partnership pubblico-privata necessita di un contributo pubblico perché appunto si tratta di un’opera pubblica che resta tale, con un’iniziale concessione di 50 anni. La buona notizia è che sia tornato il sindaco Zedda e che la Regione Sardegna sia guidata da una nuova governatrice, Alessandra Todde, che mi auguro prenda in fretta in mano con priorità la pratica stadio. Va ricordato che ci sono vari modelli: lo stadio totalmente privato, di proprietà del club, che abbiamo scartato soprattutto per le enormi difficoltà vissute da chi mi ha preceduto; lo stadio completamente pubblico, e io credo che in Italia sia veramente difficile pensare che si possa riuscire in tempi ragionevoli, memore anche della mia esperienza nel settore industriale. Siamo partiti sul percorso pubblico-privato previsto dalla prima legge sugli stadi su suggerimento di Abodi, auspicando che nel 2025 la gara pubblica si apra: non è detto che la gara la vinca la società partner del Cagliari Calcio, e comunque i 50 milioni di contributo pubblico (regionale) andranno alla società aggiudicataria della concessione per la costruzione e gestione dell’impianto, che dovrà rientrare di un investimento che altrimenti sarebbe a perdere e a cui il Cagliari Calcio pagherà un cospicuo canone di locazione annuale per l’utilizzo dello stadio. Pensiamo che fare uno stadio costa non meno di 150 milioni, recuperare quella somma è difficile, per usare un eufemismo. I potenziali 10/15 milioni annui di introiti aggiuntivi da match day sono l’unico ritorno economico che avrebbe il Cagliari Calcio, tutto il resto, inclusi i diritti di naming dello stadio, è della società di progetto che costruirà lo stadio. La speranza è di avere uno stadio nuovo prima possibile, identitario, innovativo e confortevole e che spinga emotivamente la squadra, e che ci consenta di investire di più anche nella costruzione dell’organico”.
DIFENDERE LA SERIE A
“Giochiamo in un bellissimo campionato, competitivo e avvincente, che mette in vetrina città e territori meravigliosi come la Sardegna, Parma, Venezia, Milano, Firenze, Roma, Napoli, il Salento e tante altre realtà stupende che altri paesi si sognano. Mi piacerebbe che tutti amassimo la Serie A un po’ di più e lavorassimo insieme per valorizzarla, affinché non venga del tutto erosa da altre competizioni internazionali e da differenti scelte sulla gestione dei ricavi”.