CASTENASO. "Papà, stiamo rientrando". Sono leu ultime parole che Vittorio Pisano, originario di Senorbì, ha sentito pronunciare dalle figlie: la notte del 31 luglio, dopo aver trascorso una serata con amici, una delle due lo aveva chiamato con un telefono preso in prestito, per non farlo preoccupare.
Le due ragazze, di 17 e 15 anni, non sarebbero mai tornate a casa: all'alba le loro vite sono state distrutte dal treno ad alta velocità sui binari della stazione di Riccione che loro hanno provato ad attraversare.

Una tragedia che ha sconvolto l'Italia e ha innescato una valanga di fango sul padre, partito dalla Sardegna molti anni fa e arrivato in Emilia Romagna a fare l'imprenditore. In tanti, nel mondo sena controllo della rete, lo hanno insultato e accusato di averle lasciate sole, irresponsabilmente. In realtà, proprio quel giorno non era stato bene e confidava che loro non avrebbero avuto problemi. Invece, la tragedia.
Dopo un lungo silenzio Vittorio Pisano ha scritto una lettera aperta a Repubblica: "Vivo la sofferenza confortato moralmente e spiritualmente dalle tante persone che quotidianamente hanno inondato me e la mia casa di un’umanità e dolcezza che va oltre misura e immaginazione. Vivo la sofferenza per l’immane tragedia che ha colpito la mia famiglia, e la consapevolezza del nuovo inizio che mi attende, nel fervido desiderio di provare a trasformare l’ingiusto evento in bene assoluto", è il pensiero di questo padre rimasto senza figlie.
E rivolto a chi lo ha insultato scrive che "non riesco a nutrire rancore, rammarico o amarezza dall’inconsulto vociare continuo e costante che si è scatenato all’indomani della tragedia. Ringrazio tutte le persone che hanno espresso un pensiero per me e la mia famiglia. Tutti indistintamente».
Il pensiero va a "coloro che hanno espresso giudizi severi verso la mia persona. Sono convinto che ognuno di loro possa trarre insegnamento per la vita che verrà. Vorrei che da questa disgrazia, da questa immensa perdita, si possano trarre nuove energie per plasmarla in amore puro. Affinché da questo vuoto, da questa banalizzazione del male, dal cinismo della disperazione, possa nascere e crescere rigoglioso l’amore verso il prossimo; uno spirito nuovo che possa infondere nella comunità speranza e fiducia. Perché le bimbe, le mie bimbe, le nostre bimbe, i nostri angeli, non siano arrivati in cielo invano".