CAGLIARI. Lavoravano 10 ore al giorno, sette su sette, per uno stipendio che andava da un minimo di 300 a un massimo di 600 euro al mese. Erano una quarantina i lavoratori stranieri, tutti in attesa del rilascio del permesso di soggiorno, che venivano sfruttati da alcune società gestite da cinesi che si occupavano del confezionamento di pennarelli e penne. Qualcuno di loro ha presentato una denuncia e oggi sono scattati gli arresti: i carabinieri del nucleo Ispettorato del lavoro di Torino, con i finanzieri del nucleo di Tutela del mercato del capoluogo piemontese, guidato da Gianfranco Frisani, hanno ammanettato cinque cinesi e sequestrati beni per 85mila euro. Una degli indagati, ex moglie di un uomo al vertice dell'organizzazione, viveva a Uta, in provincia di Cagliari.
Dalle indagini è emerso che due indagati risultavano amministratori di una società di Torino che aveva stipulato contratti di fornitura di servizi per il confezionamento di scatole di pennarelli, penne e matite, con due diverse società committenti. In particolare, la società affidataria dei lavori, non disponendo di lavoratori dipendenti, poteva vantare un Durc regolare.
In realtà, i lavori venivano subappaltati ad altre imprese amministrate da familiari sodali - una alla donna arrestata a Uta - che assumevano formalmente i lavoratori che dovevano occuparsi del confezionamento. Agli oltre 40 lavoratori individuati, tutti extracomunitari e in attesa del rilascio del permesso di soggiorno/protezione internazionale, veniva corrisposta una retribuzione palesemente difforme dai contratti collettivi nazionali, sproporzionata rispetto alla quantità del lavoro prestato (a fronte di 10 ore di lavoro quotidianamente svolte, senza peraltro fruire di riposi settimanali, venivano riconosciute retribuzioni da 350 ad un massimo di 600 euro mensili, e comunque in base ai confezionamenti effettuati giornalmente), in violazione dei diritti garantiti e delle norme in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, approfittando del loro stato di bisogno.
Le indagini economico-finanziarie svolte dai Finanzieri di Torino hanno inoltre consentito di individuare i reati tributari contestati a carico degli organizzatori del sistema illecito, mediante l’emissione e l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti. Tali condotte consentivano sia di praticare prezzi concorrenziali, sia di perseguire connesse logiche di evasione fiscale, facendo figurare costi fittizi legati a prestazioni formalmente affidate in sub-appalto ma in realtà facenti capo unitariamente agli stessi associati. Il profitto di tali reati è stato quantificato in oltre 85mila euro e per tale importo l’Autorità Giudiziaria ha disposto sequestri su denaro e beni nella disponibilità degli indagati.
Le indagini svolte si inquadrano nella tutela di ogni forma di lavoro e nel contrasto al fenomeno delle frodi fiscali, strettamente connesso, che altera le regole della concorrenza tra operatori economici e sottrae risorse pubbliche alla collettività.
- Redazione
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