NUORO. Aveva chiesto il congedo parentale per poter stare accanto alla propria figlia di pochi mesi, ma il questore di Nuoro gliela aveva negata perché sua moglie era casalinga, quindi non considerabile lavoratrice ai fini di legge. Così G.F, assistente di polizia del commissariato di Ottana si era rivolto al Tar per ottenere l'annullamento del provvedimento.
Dal canto suo il ministero dell'Interno, chiamato in causa insieme alla questura nuorese, sosteneva che quello della casalinga non possa essere considerato un lavoro vero e proprio perché, secondo la legge, “per "lavoratrice" o "lavoratore", salvo che non sia altrimenti specificato, si intendono i dipendenti, compresi quelli con contratto di apprendistato, di amministrazioni pubbliche, di privati datori di lavoro nonché i soci lavoratori di cooperative”.
Una lettura che - sottolinea il Tar - non solo è stata ampiamente superata da una sentenza del Consiglio di Stato datata 2014, ma che non tiene neanche conto delle previsioni a tutela della famiglia inserite nella Costituzione. Per questo motivo - spiegano i giudici del tribunale amministrativo accogliendo il ricorso dell'uomo - "il padre deve essere ammesso a beneficiare dei permessi per la cura del figlio anche allorquando la madre non ne abbia diritto in quanto lavoratrice non dipendente e pur tuttavia impegnata in attività (nella fattispecie, quella di casalinga), che la distolgano dalla cura del neonato".
Quello della casalinga, in sostanza, è paragonabile a un lavoro vero e proprio, che distoglie la madre dal prendersi cura del neonato richiedendo la necessaria presenza del padre. Una presenza che tutela anche e soprattutto il bambino, garantendogli in questo modo di soddisfare non tanto i bisogni fisiologici (come l'allattamento) quanto quelli affettivi e relazionali.