VITERBO. I braccianti venivano tenuti in condizioni di schiavitù con intimidazioni, vessazioni e minacce. Pagati poco più di un euro l'ora per lavorare nelle aziende agricole di una famiglia di origine sarda che questa mattina è stata arrestata dai carabinieri di Viterbo: in manette sono finiti Raimondo Monni, 75 anni, la moglie Margherita Contena di 70 e i figli Giovanni e Salvatorangelo, rispettivamente di 49 e 38 anni.
Secondo gli inquirenti la famiglia gestiva a Ischia di Castro cinque aziende di allevamento di pecore, per la produzione di formaggio e la vendita di lana, per un totale di oltre cinquemila capi ovini. I dipendenti, circa una quarantina, secondo le accuse erano costretti a lavorare senza orari né riposi settimanali per poche centinaia di euro al mese e a vivere in alloggi fatiscenti e in condizioni igieniche scarsissime.
L'indagine è partita a giugno del 2019 da un episodio inquietante: nelle campagne del paese era stato trovato trovato il cadavere di un cittadino straniero, un quarantacinquenne albanese. L'uomo era morto all’interno dell’azienda agricola di cui era dipendente e poi, su richiesta dei titolari, sarebbe stato portato via da un parente.
“I familiari del deceduto – si legge nella nota dei carabinieri -, ascoltati dai carabinieri del nucleo investigativo e vinta la paura delle ritorsioni paventate, data la fama di gente violenta di cui gode la famiglia sarda, oltre a raccontare la verità sulla morte del loro congiunto, hanno sottolineato come il corpo esanime del defunto sia stata trattato “come quello di una pecora”, poiché l’unica cosa che importava agli arrestati era che non fosse trovato morto nella loro azienda, per timore delle relative conseguenze”.
I successivi approfondimenti dei militari avrebbero fatto emergere all’interno della ditta, un sistema di gravissimo sfruttamento – anche attraverso intimidazioni e vessazioni – della manodopera, soprattutto straniera.