CAGLIARI. Le jacarande (non tutte) del Largo Carlo Felice sono intossicate da un fungo. E si avvelena anche il clima che le circonda a seguito della decisione di abbattere quelle considerate pericolose, adottata dall'assessorato comunale al Verde pubblico guidato da Paola Piroddi. Una scelta che ha acceso il dibattito a Cagliari. Ha detto la sua anche il direttore dell'Orto Botanico Gian Luigi Bacchetta che, tirato per la giacchetta, ha formulato delle proposte che a suo parere potrebbero evitare il taglio delle storiche piante: rimedi naturali, a suo dire, che prevederebbero anche l'eliminazione di alcuni parcheggi (QUI LA PROPOSTA). Chi non l'ha presa per niente bene è il dirigente del Verde pubblico Claudio Papoff. Tra rimandi alle sue origini di Villaspeciosa, accuse non troppo velate e linguaggio assai colorito, il tecnico del Comune rimanda ogni consiglio al mittente. Riportiamo integralmente il testo dio un suo post su Facebook, con conclusione veemente.
Numero uno: ricordo, come fosse ieri, il clan del dispensatore della umile e lieta novella che, qualche anno fa, per intenderci al giro precedente, ci somministrava il verbo sulle potature, a uso e consumo degli agronomi per interposta persona: rassicuro tutti non l’ho cagato e non ho firmato alcun provvedimento d’impegno o liquidato dello sghey pubblico, cioè proveniente dalle vostre tasse, a favore del sant’uomo o di un suo ranocchio.
Numero due: ieri l’Umile tira fuori il coniglio dal cappello e ci racconta, per noi ottusi operatori del verde, delle meraviglie dei prodotti biologici che, giura lui (credo abbia giurato sulle palle di un suo servo sciocco), sono più efficaci dei prodotti di sintesi (cess forse dovevo scrivere delle medicine per le piante, si sa noi siamo agronomi), io estasiato dalla lieta e umile novella sono tornato nella mia capanna e ho dormito felice tutta la notte nel mio giaciglio (lui intanto sono certo scriveva un abstract di un paper di cui non fotte un cazzo a nessuno). Io mi addormentavo e pensavo che non ho mai capito una stoccada ‘e minca, visto che ero fino allora convinto della minor persistenza del fungo o del vermetto rispetto al fosfo organico; ma lui ieri ci ha illuminato per Damasco. Comunque anche ieri non ero sicuro e non ho sganciato un soldo del popolo a suo favore, però debbo dire che ho tentennato e mi è venuto il prurito alle mani e stavo per aprire il portafoglio e dargli dei soldi, sempre vostri.
Numero tre e siamo a oggi: vado a lavorare contento e rinfrancato dell’innaturale potenza del naturale (quasi un ossimoro) sul chimico e, sbadabam colpo di scena, con profonda umiltà, urbi et orbi il Menestrello per Bombay nunziat nobis, che le piante in città quando vengono aggredite dai parassiti (scusate non dovrei usarla perché è una parola troppo grossa per noi agronomi che non capiamo) vanno trattate come si fa in agricoltura ad esempio, uso sempre una parola grossa, in viticoltura. Cazzo penso io, eppure credevo che l’ambiente urbano fosse molto diverso dall’ambiente agricolo. Che coglione che sono, vivo e conduco un’azienda agricola dal 1985, il Prodigio era forse appena uscito dalla cintura pelvica del padre, eppure non ho proprio capito un cazzo e forse neanche il Ministero della Sanità. Allora faccio così, domattina porto l’enovit metile e uso quello invece del ceppo attenuato, per combattere il Fusarium oxysporium subsp. canariensis che sta distruggendo le Phoenix al Poetto. Sisi, mi sono detto, domani sgancio la (vostra) grana; l’umile Vate mi ha proprio convinto con la tecnica del tergicristallo (prima a sinistra e poi a destra e viceversa; oppure avanti con il naturale innovativo eppoi viva il tradizionale in agricoltura anche in città) ma, essendo di Villaspeciosa, sono passato in piazza e l’ho raccontata a tziu Pissenti, issu m’adi lassau chistionai atturendi cittiu e a sa fini adi nau tresi fueddus: esti unu troddioni. No, non pago neanche domani e si coddiri. Dopo il tre non lo perdono più e mi castiu Django
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