SILANUS. Un lungo post con cui il sindaco di Silanus Gian Pietro Arca, replica alle parole dell'assessore regionale alla Sanità Mario Nieddu ("anziché alimentare la paura, i sindaci facciano il proprio lavoro e vigilino sulle rispettive comunità") e che inizia con le parole "I sindaci non alimentano paura. Risolvono i problemi creati da altri". E spiega. "Se avessi la possibilità di parlare con l’esimio Assessore, direi lui che la paura e un senso di smarrimento, purtroppo, pervade i sindaci quando sono costretti ad ascoltare vicende come quella che sto per raccontarvi". E inizia il racconto:
"Sabato 19, una giovane donna incinta si trova costretta a recarsi al Pronto Soccorso dell’Ospedale di Nuoro, a causa di forti dolori al basso ventre.
Dopo circa 30 minuti di attesa, e dopo aver comunicato ai medici presenti che il suo compagno, giorni prima, è entrato in contatto con un soggetto positivo al Covid-19, e che lui stesso manifesta sintomi quali febbre, nausea etc., una volta adottati i dovuti accorgimenti del caso, viene subito trasferita nel reparto di Ostetricia.
Arrivata in reparto, è sottoposta a tutte le visite ritenute necessarie e, naturalmente, al tampone al fine di stabilire se è positiva o meno al Covid-19.
Passati 45 minuti circa, e dopo aver espletato i suoi bisogni fisiologici all’interno di un contenitore per i rifiuti speciali, in quanto l’ambulatorio dove è stata visitata da medici premurosi e dove ha sostato in attesa dell’esito del tampone non è munito di bagno, le viene comunicato che, purtroppo, ha contratto il temibile virus.
A distanza di una settimana, ossia sabato, la giovane donna, a causa di un malore improvviso, a mezzo di ambulanza viene nuovamente trasportata al “San Francesco” di Nuoro.
Giunta in ospedale, i poveri operatori sanitari non sapendo dove condurre la paziente, sono costretti a far sostare la stessa all’interno dell’ambulanza per circa 30 minuti.
Una volta accompagnata al “Reparto Covid-19”, e dopo essere stata visitata in una stanza dove per fortuna è presente un bagno, alla giovane donna, tranquillizzata dai bravi medici, viene comunicato che può rincasare.
Ed ecco l’altro problema: l’ambulanza che l’ha trasportata dal suo paese fino a Nuoro, nel frattempo, ha fatto rientro presso la sua sede operativa.
A questo punto, direbbe Antonio Lubrano, la domanda sorge spontanea: come tornare nel suo paese? Posto che i suoi genitori, che si trovano in stato di isolamento, e il suo compagno, in quarantena obbligatoria perché positivo al Covid-19, anche volendo, non è consentito loro allontanarsi dal proprio domicilio.
Per tale ragione la donna incinta è costretta a chiamare il 118, ma le viene risposto che, loro malgrado, purtroppo, non possono aiutarla.
Alla fine, tra dubbi e incertezze, viene riportata a casa da due volontarie: un medico e un’infermiera dell'USCA – in quel momento, è bene precisare, non in servizio – che ringrazio di cuore, così come ringrazio tutti gli operatori sanitari che ogni giorno, con sacrificio e spirito di servizio, si trovano a far fronte agli innumerevoli problemi creati da un sistema sbagliato.
Bella storia, vero?
La sfortunata donna, che tra 15 giorni circa dovrà partorire, mi ha confidato che, data la scarsa organizzazione, non sta vivendo con serenità quello che dovrebbe essere un momento speciale della sua vita, ma, al contrario, è fortemente impaurita e preoccupata per ciò che dovrà affrontare.
Scomodando Cicerone potrei dire: Quousque tandem abutere, “Assessore”, patientia nostra?".