Storie

"Test da 180 euro per arrivare in Sardegna, nessuno mi ha chiesto il certificato"

Montanari

 

 

 

 

CAGLIARI. Aveva prenotato il viaggio in Sardegna per il martedì appena trascorso. Sabato è venuta a sapere che per entrare nell'Isola era necessario il certificato di negatività. Così Vera Montanari, giornalista di lungo corso  (ha lavorato a Repubblica, Panorama, è stat direttrice di Grazia, tra le altre cose), ha deciso di essere ligia alle direttive: dopo varie tribolazioni causate dal weekend,  prima della partenza, è riuscita a trovare un laboratorio che le ha fatto il test sierologico. Prezzo: 180 euro. "Hanno fiutato l'affare", spiega. Così si è imbarcata alla volta di Cagliari. Qui, all'atterraggio, la sorpresa: nessuno le ha chiesto niente. Solo qualche raccomandazione a chi non aveva alcun certificato - tutti gli altri passeggeri, in sostanza -  di provvedere a sottoporsi alle analisi entro 48 ore dall'arrivo. Ma lei non è che si fidi tanto dei controlli. Anzi, si chiede: "Ma essere ligi alle leggi è da fessi?". Ecco il suo racconto. 

Tutto comincia sabato mattina, quando leggo che è appena stata emessa un’ordinanza del governatore della Sardegna che chiede, per entrare nell’isola, grosso modo il famoso passaporto sanità di cui si era tanto parlato. Ovvero un documento che attesti di essere negativi al coronavirus: test sierologico, tampone, scegli tu.

Oppure l’alternativa è organizzarsi per fare i test, entro le 48 ore, una volta arrivati a destinazione. E l’ordinanza entra in vigore da... lunedì.

Panico. Ho un volo per Cagliari, per andare a trovare un’amica, martedì. Come faccio a fare un test in 3 giorni con di mezzo un week end?

Per di più l’ineffabile ordinanza spiega che l’esame va fatto entro le 48 ore dalla partenza. Ma quale struttura può farmi un esame lunedì, senza che si sia riusciti a prenotare visto che sabato e domenica gli ospedali non lavorano e perdipiù dandomi il risultato in giornata? Un delirio.

Tralascio la quantità di tempo trascorso al computer per cercare la soluzione dell’enigma, le telefonate, le mail, le prenotazioni, le disdette.

Finalmente approdo ad una guardia medica privata che ha fiutato il business e garantisce test rapidi pungi dito (avete presente? Tipo quelli di gravidanza) per la modica (!) cifra di 180 euro. Il volo di andata e ritorno mi è costato 145...

Non ho molte possibilità di scelta, prendo.

Martedì all’aeroporto di Linate però scopro di essere l’unica allocca che ancora crede che le leggi non siano parole al vento.

Quando la signorina Alitalia al check in mi chiede se so dell’ordinanza e già si sta preparando a spiegarmi che una volta arrivata in Sardegna dovrò premunirmi di fare un test... mostro orgogliosa il mio certificato.

Mai visto tanto sconcerto. Che brava, complimenti, ma come ha fatto...? Sembravo la vincitrice di un quiz televisivo.

E intanto intorno a me delle desolate hostess spiegavano, pazienti e solidali, a tutti i passeggeri senza certificato (cioè tutti i passeggeri) che una volta arrivati in Sardegna avrebbero dovuto ecc ecc.

Sí, sí, certo, era la risponda standard. Come dicono in genere i figli ai genitori che invitano a fare ordine nella stanza o a non tornare tardi la sera...

Atterrati a Cagliari ho definitivamente capito che avevano ragione loro, quelli del sì sì certo e che obbedire alle leggi, e anche alle ordinanze, è proprio da allocchi.
Nessun controllo, neanche vagamente. Solo un po’ di fogli sparsi su di un tavolino al ritiro bagagli, che potevi anche tranquillamente ignorare, dove si spiegava che entro le 48 ore è fatto obbligo... Sí, sí, certo.