CAGLIARI. Il governo italiano, da tempo, tesse le lodi di quanto finora compiuto, in particolare durante questa legislatura, nei confronti della difficile sfida che il PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) rappresenta per il nostro Paese. Si rivendica ad esempio il fatto che la Commissione Europea abbia approvato la quarta rata di circa 18 miliardi di euro e che nelle prime misure finanziate dal Pnrr (M1, M2, M4 ed M5) siano stati già “assegnati” oltre 36 miliardi di euro agli Enti locali beneficiari. Si tratta di fondi che finanziano interventi molto importanti quali, rispettivamente: digitalizzazione della Pubblica amministrazione, innovazione, competitività e cultura, rivoluzione verde e transizione ecologica, istruzione e ricerca, inclusione e coesione.
Per fare un esempio, da noi in Sardegna, su queste misure risultano “approvati” progetti per oltre un miliardo e 152 milioni di euro. Come certificano i dati della Fondazione IFEL- Istituto per la Finanza e l’Economia Locale (LINK) istituito da Anci - Associazione Nazionale Comuni Italiani. Però, andando oltre proclami e previsioni, la realtà con cui ci si scontra è che questi stanziamenti restano ancora sulla carta. E l'Italia è riuscita finora a spendere meno del 7% dei fondi PNRR messi a disposizione dall’UE. (Fonte: Presidenza del Consiglio dei Ministri).
Parafrasando il brutto neologismo e la terminologia elettrotecnica che, dal governo Draghi in poi, tanto piace agli addetti ai lavori: il paradosso tutto italiano è che, alla prima prova dei fatti, la "messa a terra" del PNRR sta causando un "corto circuito" burocratico/amministrativo tra pubblica amministrazione centrale ed enti locali, con pesanti "blackout" economici negativi sulle imprese che vengono coinvolte nello sviluppo dei progetti.
In pratica, anche in Sardegna, l'applicazione rigidamente centralizzata delle norme fa in modo che, a causa dei ritardi da parte degli organismi centrali, i privati che hanno vinto le gare PNRR e completato le commesse, rispettando i tempi, gli obiettivi e gli adempimenti richiesti, NON possono poi essere pagati dagli Enti locali, che quei lavori li hanno loro commissionati, perché, questi ultimi, non hanno realmente i fondi in cassa.
Questo significa che, alla fine, gli effetti negativi della “messa a terra” del PNRR con le inadempienze degli Enti pubblici ricadranno interamente sui costi sostenuti (anche ricorrendo all'indebitamento) proprio da parte di quelle imprese virtuose che il conseguimento degli obiettivi PNRR hanno favorito.
A rimetterci saranno, come spesso avviene nel nostro Paese, i privati che lavorano e creano occupazione facendosi carico di anticipare tempi e oneri di Amministrazioni Pubbliche sempre in ritardo. (Vedasi l'approfondimento in coda all'articolo dedicato alla Misura 1.2 - Transizione digitale e migrazione al Cloud in Sardegna).
Va premesso che si tratta ovviamente di progetti complessi e questi primi a partire sono quelli dedicati a temi come la transizione digitale (uno dei capisaldi delle azioni previste dal Pnrr) per cui tanti osservatori sono stati abbastanza scettici fin dall'inizio sulle capacità delle nostre amministrazioni pubbliche di procedere nei tempi rapidissimi dettati dall’agenda europea e dal PNRR.
Ma nel nostro Paese tutte le cose che sono tecnicamente complesse vengono rese ancor più difficili e quasi impossibili da realizzarsi, soprattutto per un piccolo Comune, ipotizzando tempi rapidissimi di esecuzione degli interventi che, quando poi tali progetti complessi vengono realmente eseguiti, vanno a scontrarsi con inspiegabili ritardi degli organismi centrali nelle procedure di propria competenza.
Ritardi che appaiono evidenti soprattutto nelle procedure "centralizzate" di collaudo e controllo sugli interventi PNRR che poi vincolano l'erogazione reale dei fondi.
Sono i mastodontici apparati burocratici centrali che, messi alla prova dalla piccola “periferia” e dall'agire quotidiano, fin dai primi passi operativi dentro il PNRR, sembrano impreparati a gestire la mole di controlli e adempimenti e il carico di lavoro derivante. Un impegno, onore e onere, che il Governo stesso sembra essersi arrogato non avendo chiari impatto e conseguenze. Tutto pur di inseguire uno strano rigurgito “centralista/statalista” che non si vedeva da decenni. .
Se quindi si intravede all’orizzonte il possibile fallimento dell’Italia, in questa “sfida del Pnrr” si dovrà avere anche il coraggio di evidenziarne la principale causa. Perché non sarà colpa ascrivibile, come qualcuno a livello centrale vorrebbe farci credere, esclusivamente alla cronica incapacità dei piccoli Enti locali e alla loro mancanza di personale e competenze.
Le nostre piccole amministrazioni locali sono infatti abituate ad operare in eterna emergenza e in prima linea sul proprio territorio, anche facendo corretto e sapiente uso di fondi propri che sono sempre più ridotti. E nel farlo, i nostri Sindaci e le nostre amministrazioni sanno molto bene che, scontrandosi con processi complessi, problematiche e ambiti tecnologici e normativi mai seguiti in precedenza in prima persona, devono innanzitutto poter disporre a bilancio e in cassa di risorse certe. PRIMA di pianificare gli investimenti o le gare per potersi rivolgere a fornitori accreditati, a cui chiedere di risolvere i problemi rapidamente ed efficacemente, devono poter garantire loro la stessa rapidità ed efficienza. Soprattutto nei pagamenti.
Con il PNRR, invece, sta avvenendo esattamente il contrario. E le vere criticità, in grado di compromettere molti processi e progetti, non saranno quelle degli Enti locali periferici ma, cosa molto più probabile, lo Stato centrale con i suoi Ministeri e i suoi ritardi.
Rappresentazione grafica: misure di Innovazione e Fondi PNRR in Sardegna - Fonte: IFEL – ANCI
APPROFONDIMENTO:
Quale esempio emblematico di quanto affermiamo, si prenda il caso di una misura importantissima del PNRR come la M1 - Digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura. E quella che è la sua prima “mission”, ovvero la 1.2 – Abilitazione al Cloud per le PA Locali. Questa misura con relativa mission doveva essere, non a caso, una delle prime a partire nelle intenzioni governative insieme al potenziamento della connettività a banda larga. In quanto attraverso la loro realizzazione si gettano le fondamenta "digitali" dell'intero paese.
Il "cloud pubblico" è una componente fondamentale dell’innovazione futura ed è trasversale a molte delle strategie del Piano. Perché le informazioni custodite nei singoli Comuni sono un patrimonio indispensabile e devono poter essere messe in rete e “condivise” in totale sicurezza tra le Pubbliche Amministrazioni, soprattutto quando queste devono comunicare tra loro, in modo telematico e digitale, al fine di erogare servizi online destinati ad esempio al welfare e al sostegno di cittadini e le imprese o ai controllo e salvaguardia di ambiente e territorio, oppure ancora ai processi di equità fiscale per la verifica del gettito tributario che coinvolge tutti.
Per questo motivo la migrazione verso il “Cloud” della Pubblica Amministrazione, finanziata con fondi Pnrr prevede che le banche dati degli Enti Locali, in particolare dei Comuni, insieme alle loro applicazioni software siano installate e gestite non più localmente su server e computer fisicamente dislocati presso le sedi degli Enti, ma delocalizzate attraverso internet datacenter virtuali affidabili e sicuri.
Nel caso specifico della Misura 1.2 – Migrazione al Cloud è previsto che l'infrastruttura tecnologica, i software e i servizi innovativi destinati ad una amministrazione Comunale, vengano forniti in modalità SaaS - Software as a Service (LINK) e siano erogati esclusivamente da fornitori "qualificati" da AgID - Agenzia per l'Italia Digitale (LINK) e da ACN - Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale (LINK)
Tutte queste piattaforme Cloud devono essere realizzate secondo linee guida e caratteristiche tecniche particolari. Si tratta di infrastrutture che prevedono ovviamente investimenti e costi importanti sia come primo impianto che per il successivo mantenimento in esercizio. Il PNRR prevede che tali costi siano sostenuti interamente, solo nelle prime fasi di avvio, dal soggetto privato o provider che si aggiudichi la fornitura. Stranamente però questa transizione digitale del PNRR "all'Italiana" ha previsto rigide regole e tempistiche certe, con sanzioni per i ritardi nell'esecuzione dei lavori, solo per i fornitori ma non per le PA.
In Sardegna, su questa specifica misura e missione il PNRR ha previsto stanziamenti per i Comuni pari a oltre 26milioni di euro ma oggi, a quasi un anno dall’avvio delle operazioni, soltanto 2 Comuni hanno visto accreditati sul proprio bilancio i fondi previsti.
Questo avviene a fronte di oltre un centinaio di altri Comuni sardi che non hanno visto ancora un euro nonostante abbiano anch’essi regolarmente completato le proprie migrazioni cloud. Loro e i loro fornitori risultano doppiamente penalizzati. Sia a causa del mancato o a lungo ritardato controllo, asseverazione e collaudo da parte dell’organismo centrale, ovvero il Dipartimento per la trasformazione digitale (LINK) o, nel caso in cui il collaudo sia già avvenuto, a causa della mancata erogazione finale dei fondi soggetta ad immotivati ritardi.
Le norme legate al PNRR, (che vanno anche in deroga al Codice degli Appalti Pubblici) però non chiariscono affatto cosa dovrebbe avvenire quando una volta avviata a regime una migrazione al Cloud, i costi si protraggono molto a lungo nel tempo, in modo indefinito e per molti mesi. Sono costi sempre a carico del privato in quanto l'Ente locale non dispone ancora di risorse per farvi fronte. E tutto a causa dei ritardi dovuti all’inadempienza dello Stato e degli organismi centrali.
Ma il paradosso della situazione è che una volta che un Ente Pubblico è migrato in Cloud, il processo NON può essere reversibile. Se il Comune non ha ancora ottenuto i fondi, lo stesso soggetto privato che fornisce il servizio non può interromperlo perché bloccherebbe di fatto l'attività dell'Ente. Quindi non si torna indietro anche se il fornitore non può essere pagato.
Pertanto il fornitore si trova costretto ad indebitarsi, ricorrendo al credito bancario e rinunciando a qualsiasi margine di ricavo, pur di mantenere attivo il Cloud di quell'Ente Pubblico senza incorrere nelle conseguenze civili e penali di un eventuale reato di “interruzione di pubblico servizio” regolamentate dall’Art. 340 del Codice Penale. (LINK)
In molti dei Comuni sardi, migrati al Cloud, da noi analizzati, si resta in attesa di comunicazioni del Dipartimento centrale, nel totale silenzio, aspettando un "collaudo ministeriale" che arriva in certi casi ben oltre 6 mesi dopo il completamento dei lavori.
E anche nei casi in cui ci siano collaudi effettuati e a buon fine, ci sono molti mesi di ritardo nell'erogazione finale dei fondi.
In tale condizione i Comuni quindi non non riescono a pagare i loro fornitori. Fornitori a cui invece è stato chiesto, in fase di gara e con applicazione di pesanti penali, un rigido rispetto dei tempi. Oltre al danno quindi, questo PNRR , ben orchestrato dallo Stato centrale ha previsto una beffa.
Penalizzando proprio quegli Enti locali virtuosi e insieme a loro le tante aziende che hanno lavorato duramente e seriamente nella periferia, rispettando tempi e obiettivi, per il completamento dei progetti.
Quello che la presidente del Consiglio Giorgia Meloni (LINK) o il ministro Fitto (vedi nota 1), al pari dei tanti politici e tecnici coinvolti nel Piano, non ci dicono è che esiste un coacervo di norme, pareri e adempimenti burocratici che parte dall’alto e rende difficile la vita delle amministrazioni locali.
Molti iter amministrativi interni sono collegati a processi esterni come ad esempio il collaudo definitivo dei progetti. Insomma il "cordone della borsa" resta appannaggio esclusivo di organismi centrali e Ministeri che risultano oggi sempre più in ritardo. Questo sta avvenendo in modo sempre più evidente, soprattutto nel sud Italia e in Sardegna, che è peraltro una delle regioni fanalino di coda nell'utilizzo dei fondi PNRR.
Quindi non solo non basta presentare ottimi progetti (cosa che in Italia peraltro non è nemmeno avvenuta vista la revisione e sospensione recente di molti di questi) ma, una volta terminata la fase progettuale, si devono mettere gli Enti pubblici, in particolare i piccoli Enti locali, nella condizione di poter realizzare davvero le cose.
Per farle bene e in fretta, con i fondi PNRR, come richiesto dall'Europa, non è sufficiente una “promessa” dello Stato di ottenere dall'Europa quei fondi. I Comuni che sono le Pubbliche amministrazioni deputate a gestire molti progetti, quei soldi devono poi averli realmente in cassa per poterli spendere rapidamente e nel modo migliore.
Tutto il resto, come sempre, sono solo chiacchiere e distintivi appuntati sul bavero del politico governativo di turno.
NOTA 1:
Ad aprile 2023, l’Italia risultava aver speso solo il 6% dei fondi Pnrr messi a disposizione dall’UE. Procedendo con questo ritmo, non si conseguiranno i traguardi previsti e l’Italia rischierebbe di perdere i fondi. Questo il messaggio tra le righe della Relazione della Corte dei Conti sullo stato di attuazione del Pnrr, pubblicata a marzo 2023. Sulla criticità di conseguimento degli obiettivi richiesti dall’Europa entro il 2026, previsti dal Pnrr, è intervenuto in tale occasione lo stesso Raffaele Fitto, ministro competente per Affari Europei, PNRR, Sud e Politica di coesione. Il ministro Fitto sempre ad aprile di quest’anno, definiva come allarmante la situazione in quanto: “L’Italia non riesce a spendere in maniera né soddisfacente né efficiente i fondi di coesione dell’Unione europea. È per questo che è più che mai necessario e urgente intervenire in maniera strutturale per cambiare il sistema con cui i fondi vengono utilizzati.” (LINK: Presidenza del Consiglio dei Ministri).
- Arnaldo Pontis