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"Sembra un maschio, non possono averla stuprata": la sentenza di tre giudici donna

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ANCONA. Sembra un maschio, non poteva piacere all'accusato: si è inventata lo stupro. A questa conclusione sono arrivate tre giudici, tutte donne, che hanno assolto un giovane accusato di violenza sessuale su una ventiduenne di origini peruviane  e un amico che aveva fatto da palo.  All'imputato principale, si egge nelle motivazioni della sentenza,  "la ragazza neppure piaceva, tanto da averne registrato il numero di cellulare sul proprio telefonino con il nominativo "Vikingo" con allusione a una personalità tutt'altro che femminile quanto piuttosto mascolina". Non solo: sempre le giudici aggiungono: "Come la fotografia presente nel fascicolo processuale appare confermare". Insomma, più un giudizio da concorso di bellezza che di una tribunale. 

I fatti al centro del processo risalgono al 2015, ad Ancona. La giovane di origini peruviane frequenta una scuola serale e accetta di bere una birra insieme a un paio compagni di lezioni. Le birre si moltiplicano, lei e uno dei due si appartano e hanno un rapporto sessuale. Ma lei, emergerà dopo, non è consenziente:  in ospedale i medici certificano l'abuso. A luglio 2016 comincia il processo di primo grado che porta a una condanna per entrambi i ragazzi: cinque anni per l'esecutore materiale dello stupro e tre per il complice.


Gli imputati vanno in appello e qui nel novembre 2017 la Corte d'Appello dà loro ragione con un dispositivo che indigna sin da subito: la donna violentata viene definita "la scaltra peruviana" e vengono inseriti diversi commenti e valutazioni fisiche sulla sua scarsa avvenenza. A supporto dell'innocenza del presunto stupratore, viene persino scritto che sul proprio cellulare l'aveva memorizzata con il nome "Vikingo" per alludere alla sua mascolinità, "come la fotografia presente nel fascicolo processuale appare confermare". La tesi delle tre magistrate donne dell'appello è, insomma, che all'imputato "la ragazza neppure piaceva" quindi lei è poco credibile e la sua è una messa in scena. Il verdetto è stato poi annullato dalla Cassazione per incongruenze e vizi di legittimità tanto che il processo dovrà essere rifatto.