CAGLIARI. Renato Soru, ex presidente della Regione e fondatore di Tiscali, prende ufficialmente posizione contro la minaccia costituita dal numero immane di progetti di parchi eolici e fotovoltaici presentati da aziende italiane e multinazionali che attendono le valutazioni di impatto ambientale da parte dei ministeri competenti. Autorizzazioni rispetto alle quali gli Enti come Regione e Comuni, anche grazie alle norme introdotte nel PNRR, si vedono spesso esautorati da responsabilità e competenze.
Lo fa attraverso un appassionato post pubblicato sulla sua pagina Facebook (LINK), che pone l'accento sul pericolo delle crescenti speculazioni intorno all'eolico e al fotovoltaico in Sardegna, post che sta avendo anche un discreto impatto sull'opinione pubblica grazie alla sollecitazione con cui esorta chi lo legge a dire la propria.
Soru usa parole nette: "Siamo stati abituati alle diverse aggressioni dell’economia estrattiva (sarebbe forse più chiaro dire economia di rapina). A limitarsi alla storia recente basta ricordare la spoliazione forestale, lo sfruttamento delle miniere e della relativa manodopera sottopagata, l’accaparramento del paesaggio costiero per la costruzione in numero esagerato di seconde case che poco o niente han lasciato in termine di buona occupazione e possibilità di sviluppo.
Ora è il tempo della minaccia più grave di sempre. L’occupazione prepotente dei tanti territori della Sardegna, la distruzione del paesaggio e della stessa identità dei luoghi con la pretesa di elevare un infinità di torri alte dieci volte tanto i campanili dei nostri paesi, a rubarsi sole e vento. Una vera e propria corsa all’oro per prendersi tutto senza lasciare niente."
Soru prosegue riportando alla luce una delle proposte del suo progetto Sardegna nel lontano 2004, ovvero la creazione di una Agenzia Regionale per l'Energia. Un Ente pubblico di coordinamento e controllo di cui, mai come oggi, si sente la mancanza qui da noi. Questo anche osservando altre Regioni italiane che in questo decennio se ne sono dotate, come ad esempio l'Abruzzo, che non è nemmeno una Regione a Statuto speciale come la nostra eppure ha fondato l'ARAEN - Agenzia Regionale Abruzzo Energia nel 2005. (LINK)
"Occorre istituire per legge il nuovo “Ente Regionale Energia Sarda. Esso presenti al Governo ed ai Ministeri competenti per la loro approvazione una serie di progetti di nuovi campi eolici e fotovoltaici, per il soddisfacimento del fabbisogno dell’intero sistema pubblico regionale, dei comuni, dei consorzi di bonifica, del sistema idrico, per il sostegno alla competitività delle imprese, per il taglio dei costi delle nostre famiglie. Una sorta di Comunità Energetica Regionale, con benefici che vanno ben oltre a quelli previsti dalle norme attuali. Energia Sarda a vantaggio dei Sardi. I progetti dell’ Ente Regionale, portatori di un interesse pubblico generale, verrebbero necessariamente autorizzati prioritariamente rispetto a quelli di iniziativa privata che verrebbero, quindi, messi da parte." Continua Soru nel suo intervento.
E cita anche la recente assemblea pubblica svoltasi a Sanluri, suo paese natale, organizzata dal Comitato di iniziativa popolare "Su Entu Nostu" che ha inviato una lettera aperta alla propria amministrazione Comunale e a tutti i sindaci della Sardegna, per sollecitare la mobilitazione di tutti i nostri politici, di qualsiasi schieramento, riguardo questo tema di stringente attualità. Iniziative come questa, secondo il Comitato Su Entu Nostu, chiamano alla mobilitazione tutti i sardi che hanno a cuore il futuro della propria terra. Della lettera aperta abbiamo dato notizia in questo articolo (LINK).
Ma le voci dei cittadini che si riuniscono in comitati spontanei e anche le opinioni di importanti esponenti della scena politica isolana, che oggi però non ricoprono cariche pubbliche, rischiano di essere azioni tardive e forse inutili. Se non troveranno rapidamente sponda nel consenso della popolazione generale e la dovuta attenzione da parte dei politici, di qualsiasi schieramento, che rivestono ruoli di responsabilità nelle nostre istituzioni a tutti i livelli, innanzitutto in Regione Sardegna.
Una Regione che non ha finora espresso un pronunciamento pubblico unanime purtroppo riguardo questi temi.
Anche ANCI Sardegna (Associazione Comuni Italiani) con la dichiarazione congiunta dei due presidenti Emiliano Deiana e Alberto Urpi, durante l'Assemblea odierna, sollecita la Regione affinché formuli una richiesta di moratoria sull'eolico indirizzata al governo centrale che dia seguito a quanto deciso nell'ultimo consiglio Regionale del 6 luglio scorso, durante una seduta che purtroppo ha visto parecchie divisioni in seno alle forze politiche di maggioranza e opposizione. (LINK). Aspettiamo quindi nuovi sviluppi, in questa attesa inerziale che dipende anche e sempre dalle decisioni d'oltre mare.
Singolare anche come, a seguito di questa presa di posizione di Renato Soru, diventino due gli ex presidenti di Regione a pronunciarsi senza incertezze e pubblicamente su questo argomento. L'altro ex-presidente, politicamente di parte opposta rispetto a Soru, è Mauro Pili che da tempo, sulle pagine del quotidiano l'Unione Sarda, continua a scrivere articoli di approfondimento sul tema della speculazione economica correlata alle diverse fonti di produzioni energetica verde in Sardegna. (LINK)
Nei numerosi articoli di Pili, al pari del post di Soru, appare evidente ed incombente la minaccia. Secondo loro, a causa delle storture in fase di progettazione e approvazione di questi impianti di produzione, grazie alle normative nazionali ed europee che favoriscono e anche pretendono, in tempi rapidissimi, l'avvento di questo "green deal" ad ogni costo, si generano processi tutt'altro che trasparenti e benefici che sono solo apparenti e che si possono trasformare in pericoli per la nostra isola e il nostro territorio.
Perché la minaccia incombente denunciata da molti sembra essere reale. E consiste in circa 300 progetti presentati che comprendono oltre 2300 torri eoliche In-Shore (a terra) e Off Shore (a mare) e numerosi grandi impianti di solare fotovoltaico, per un totale di 57 GigaWatt di potenza nominale. Si tratta di una quantità enorme e assolutamente fuori misura rispetto alle ridotte esigenze del nostro territorio. La nostra isola ha infatti un fabbisogno che, nei momenti del picco di utilizzo, arriva a circa 1,7 GW di potenza assorbita.
Se anche solo il 10% di questi progetti presentati venisse autorizzato dagli organismi statali, ci ritroveremo in Sardegna impianti per almeno 5,7 GW che in realtà non ci servono e che, presumibilmente, la maggioranza dei Sardi nemmeno vuole. Sicuramente i cittadini andrebbero maggiormente informati al riguardo. E la volontà popolare andrebbe meglio appurata.. Anche perché purtroppo noi sardi siamo abituati alle chiudende e all'effetto NIMBY (LINK) Per cui se queste torri eoliche, veri e propri ecomostri da 200 metri d'altezza, finiscono nel giardino del vicino, sardo pure lui, la cosa comunque ci riguarda meno.
Si tratta di impianti dalle dimensioni "monstre" su cui però le "royalties", ovvero i diritti di sfruttamento che spettano ai territori ospitanti, saranno assolutamente irrisori e fuori mercato rispetto gli standard europei. Prova ne sia che nonostante gli alti incentivi economici per i territori ospitanti siano 5 volte superiori ai nostri per lo stesso tipo di impianti in Francia, paese che tra l'altro basa gran parte della propria produzione sul nucleare, secondo i rapporti dell’Observ’ER - Osservatorio sulle energie rinnovabili (LINK), esaminati durante la COP 21 di Parigi, nell'intero decennio, a partire dal 2011, c’è stato un costante decremento nell’ammontare annuale di energia eolica prodotta in grandi impianti on-shore. Questo è avvenuto anche a fronte dell'innegabile diritto alla tutela paesaggistica che gli abitanti delle località francesi individuate come sedi di produzione, hanno preteso e chiedono a gran voce.
Le installazioni di grandi parchi eolici in Francia, ogni anno sono circa il 30% in meno rispetto quanto stimato nei piani iniziali dal 2012. Perchè oltralpe si sta andando sempre più a favorire le produzioni di eolico e fotovoltaico in shore di prossimità. Ovvero piccoli impianti ad uso e consumo delle comunità.
Questo è anche il motivo per cui, i nostri cugini Corsi, non vedranno quasi nessun parco eolico o fotovoltaico in un'isola che ha caratteristiche molto simili alla nostra. I grandi impianti francesi in-shore vengono costruiti soprattutto nelle aree industriali dismesse e comunque lontano da aree con vincoli paesaggistici o archeologici, a vocazione agricola o turistica o centri abitati. Quelli off -hore li progettano soprattutto di fronte ai porti industriali e nelle aree costiere ad essi contigue.
Invece noi, in Sardegna, assistiamo inermi al proliferare di progetti per impianti "verdi" che produrranno energia che supererà di 3 volte e mezzo le nostre necessità, stando su stime basse, energia che le imprese produttrici si rivenderanno a caro prezzo durante i prossimi decenni fuori dall'isola, alle nostre spalle.
Stiamo parlando di una produzione di energia elettrica assolutamente in surplus che, in parte, andrebbe a sostituire l'attuale produzione da fonti fossili delle nostre centrali a carbone di Portovesme e Fiumesanto come richiesto dai piani di transizione energetica regionali, nazionali ed europei. Una produzione quella attuale che comunque è superiore al nostro fabbisogno e che, bene ricordarlo, noi già oggi esportiamo verso le imprese energivore "continentali" per una quota di circa il 30%.
La Sardegna quindi non solo produce più energia di quanta le serva, ma sarà obbligata a produrne molta di più pur essendo tecnologicamente indietro anche per ciò che riguarda le linee di trasporto dell'elettricità.
Questo è infatti quello che avviene per la maggior parte delle nostre infrastrutture (come le linee ferroviarie o le strade statali) la cui competenza è saldamente nelle mani di organismi centrali che ben poco a cuore hanno le realtà territoriali periferiche come la nostra Isola. Quindi la Sardegna che non sarebbe nemmeno in grado di esportare tutta questa energia prodotta in più senza cavidotti e linee, dovrà farle necessariamente costruire alle stesse aziende private produttrici di energia "verde". La cosa genererà una ulteriore vasta rete di servitù infrastrutturali per il territorio. Ovviamente si tratta di servitù addizionali anch'esse senza nessuna ricaduta economica futura.
Il re, a questo punto, è nudo. Perché ci troviamo di fronte ad un sistema produttivo che per mezzo di finanziamenti pubblici e normative di agevolazione, favorisce, incentiva e tutela economicamente, l'iniziativa capitalistica privata nella produzione di energia. Un ingranaggio che si dimostra in grado di arricchire esclusivamente i soggetti privati che producono e rivendono quella energia a chi se la potrà permettere. Non arricchisce di certo i cittadini dei luoghi dove vengono sfruttate le risorse per generarla. Sembrerebbe essere un "aiuto di stato" a tutti gli effetti ma stavolta, a differenza di quanto avviene per il trasporto aereo, con il beneplacito dell'Unione Europea. Aiuto di stato e basato anche su fondi pubblici, di tutti noi, ma che andrà a beneficio esclusivo del capitale privato e non certo della collettività.
Si tratta di un bell'esempio di "principio di sussidiarietà inverso" (LINK) che però ricorda tanto anche la rapina di un "Robin Hood" al contrario. Dove le regioni più povere e deboli del nostro paese vengono sfruttate per favorire lo sviluppo delle aree più ricche e produttive. Una storia tristemente già vista alle nostre latitudini e in tutti i "sud" del mondo.
Storie che ricordano metodi e sistemi di sfruttamento delle materie prime con logiche e regole pre-industriali di fine ottocento. Queste aziende che intendono creare i loro parchi di energia verde lavoreranno innanzitutto per se stesse, non di certo per l'ambiente.
E noi faremo altrettanto, sempre lavorando per loro. Dopo il 2030 in questa "corsa all'oro" della transizione ecologica (LINK) è probabile che il sud Europa si ritroverà con la stessa dignità e lo stesso tipo di benessere di qualsiasi popolazione o maestranza indigena, di fronte a dei ricchi colonialisti inglesi che abbiano deciso di aprire una miniera di diamanti con il benestare della Corona, in Africa all'inizio del secolo scorso.
- Arnaldo Pontis