QUARTU. Cinque minuti di violenta grandinata hanno devastato i vigneti in una vasto territorio tra Quartu, Maracalagonis e Settimo San Pietro e circa 600 ettari di vigneti e oliveti anche a Orroli.
Circa il 20 per cento degli acini, nelle zone colpite sono stati lesionati, ma danni sono denunciati anche dai produttori di meloni e pesche e susine e altri prodotti da campo.
La grandinata, arrivata quasi all’improvviso ieri pomeriggio, ha imbiancato diversi ettari di terreno in lunghe lingue nel territorio di Quartu, ed in particolare a Is Mostus, e tra Marcalagonis e Settimo San Pietro ma anche nel Sarcidano, dove sono stati colpiti circa 600 ettari di vigneto e oliveto soprattutto a Orroli, in località Taccu Pantaleo, Su Forreddu e Coe Putzu e Coremolla.
A subire i maggiori danni, cosi come le gelate tardive di aprile, sono stati ancora una volta i vigneti. “Ha colpito sia l’uva da tavola e vino – spiega Giuseppe Farci, presidente di Coldiretti Maracalagonis e della Cantina di Quartu -. Il vento di tramontana, inoltre, ha agevolato il danno consentendo alla grandine di colpire anche i grappoli più nascosti. Le vigne colpite hanno perso in media il 20 per cento degli acini, tra quelli caduti a terra e quelli che sono stati spaccati dalla forza della grandine”.
Le perdite potrebbero anche acuirsi. “La speranza è che le condizioni atmosferiche ci vengano incontro – afferma Piero Sarritzu, presidente di Coldiretti Quartu Sant’Elena -. L’umidità in questo momento è nostra nemica e potrebbe favorire la botrite e altre malattie fungine, mentre servirebbero giornate ventilate”.
“Purtroppo siamo a commentare ancora una volta gli effetti dei cambiamenti climatici che stanno colpendo duramente, da qualche anno con più frequenza, gli agricoltori – commenta il presidente di Coldiretti Cagliari Giorgio Demurtas -. A subire più danni e nuovi costi sono i viticoltori, che sono anche tra i settori più penalizzati dalle limitazioni imposte per il Covid. È chiaro che occorrono dei sostegni nell’immediato ma bisogna allo stesso tempo pensare anche a nuove forme di tutela delle colture”.