CAGLIARI. Supera il 46% la percentuale delle imprese sarde di tutti i settori chiuse per decreto, circa 52mila attività che hanno lasciato a casa, oltre 126mila tra addetti e dipendenti. Tra i settori colpiti dal blocco c’è l’artigianato con oltre 26mila imprese (circa il 70% del settore) e circa 70mila lavoratori. Ma a questo numero ufficiale bisogna aggiungere quelle che stanno svolgendo l’attività in modo parziale o ridotto, quelle che hanno deciso di chiudere per l’impossibilità di reperire sistemi di protezione individuali o di mantenere il “distanziamento sociale”, quelle senza richieste di prodotto o servizio e quelle che hanno difficoltà a reperire materie prime, semilavorati o ricambi. Tutte chiuse anche le 22.378 imprese edili, di cui il 58,1% artigiane (13.011 realtà), che impiegano oltre 40mila addetti
Una “bomba sociale” che interessa almeno 100mila famiglie sarde e oltre 300mila persone in attesa del sostegno statale o degli Enti bilaterali delle attività produttive. Le stime sono dell’Ufficio Studi di Confartigianato Imprese Sardegna, che ha analizzato la situazione sulla base dei codici ATECO inseriti nei Decreti e negli aggiornamenti che si sono seguiti dall’11 marzo in poi.
"Tutte le imprese, soprattutto quelle artigiane obbligate a stare chiuse, stanno pagando un prezzo altissimo alla crisi - commenta Antonio Matzutzi, Presidente di Confartigianato Imprese Sardegna – e le piccole attività che ancora possono lavorare stanno dimostrando ancora una volta il loro grande senso civico facendo il loro dovere e la loro parte. Abbiamo condiviso la necessità di limitare alle attività essenziali la possibilità di lavorare, consapevoli dell’impatto economico ma con la convinzione che la responsabilità sociale che ci caratterizza ci obbligasse a scelte dolorose ma utili per il Paese”.
Tra le imprese artigiane chiuse i settori maggiormente colpiti sono: l’edilizia (esclusi gli installatori di impianti che possono operare) con circa 13mila aziende chiuse, seguite dal comparto del benessere 2.900, dalla metalmeccanica con 2.000, la moda 300, il legno/arredo con 1.500 e l’artistico allargato con 7.000 attività chiuse.
Dobbiamo prepararci alla fine della “quarantena”. Per le imprese occorrono sostegno e incentivi per la “tenuta in moto delle attività produttive”, per consentir loro di restare attive anche senza poter lavorare, taglio del carico fiscale, riapertura, anche graduale, delle attività a quarantena conclusa e accesso al credito “sprint” ovvero immediata liquidità con zero burocrazia. Per la popolazione dobbiamo vedere attentamente ciò che sta succedendo in Cina ovvero il fenomeno del “revenge spending”, letteralmente, spendere per vendicarsi, con file nei negozi per rifarsi del tempo perduto. Ai primi posti delle cose che si vogliono fare ci sono: andare al ristorante, viaggiare, festeggiare e fare shopping. E quindi per qui proponiamo alcune soluzioni: sostegno alla capacità di spesa (come il taglio del cuneo fiscale), detrazioni al 100% per ristrutturazioni e manutenzioni, e altri bonus che possano incentivare gli acquisti o la fruizione di servizi.
- Redazione