QUARTU. Trent’anni di carriera. Scatti fotografici, opere di video arte e film che attraversano l’intensa attività dell’artista cagliaritano Giovanni Coda, come regista e fotografo. Venerdì primo ottobre, all'Ex Convento dei Cappuccini di Quartu S. Elena, sarà inaugurata la mostra antologica “Giovanni Coda – 30 Exposition”, dedicata al trentennale dell'attività artistica del regista e fotografo pluripremiato in tutto il mondo. In mostra, nella città in cui Coda risiede da anni, una selezione delle opere fotografiche e cinematografiche che raccolgono 30 anni della sua vita artistica, saranno disponibili fino al 29 ottobre 2021. Fotografo, scrittore, videoartista e regista, Giovanni Coda, classe 1964, ha all'attivo 47 opere video, numerose serie fotografiche e progetti installativi esposti in Italia e all'estero. È un artista di grande sensibilità e il suo lavoro si sofferma sulle discriminazioni e sulle diversità. Punta l'obiettivo su temi e storie spesso difficili, lontane dai canoni comuni, che invitano il pubblico a riflettere tra pura poesia e coerenza senza filtri con la realtà. Aprirà la serata inaugurale di venerdì il concerto del coro Musica Viva Cagliari.
La mostra è organizzata dal V-art e dall’associazione culturale Labor, in collaborazione con il Comune di Quartu S. Elena, la Fondazione di Sardegna, la Regione, Fondazione Sardegna Film Commission e Streen. Dopo l'appuntamento di Quartu è prevista l’installazione delle opere a Cagliari, nel Centro Fotografico di Christian Castelnuovo. Poi la mostra sarà al Temporary Storing della Fondazione per l'arte Bartoli Felter, al Mancaspazio a Nuoro, e dopo a Oristano, Sassari, Alghero, Torino e Roma.
Giovanni Coda vanta collaborazioni con artisti, musicisti e scrittori. “Un artista che ha sempre cercato modalità espressive non allineate al mercato, sperimentali, a volte perturbanti, sicuramente capaci di toccare l'anima e il cuore dello spettatore”, racconta Elisabetta Randaccio, critica cinematografica. Dalle prime opere tra le quali “Il passeggero” (1998), “Serafina” (2002) in cui mostra la vecchiaia nella sua crudezza di corpo e mente logorati dal tempo, in opposizione al trionfo di una falsa giovinezza eterna venduta dall’industria culturale, “One tv Hour” e “Big Talk” girati tra il 2005 e il 2006 dove orrore, dolore, gioia mercificata e confusione ideologica si intersecano cinicamente, il cortometraggio “Brightness” (2012) dedicato a Francesca Woodman, una delle artiste più interessanti del Novecento, firma nel 2013 il suo primo lungometraggio “Il Rosa Nudo”, ispirato alla vita di Pierre Seel, deportato in un campo di concentramento all’età di 17 anni perché omosessuale, presentato alla 70. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica a Venezia come Evento Speciale e premiato undici volte nei festival internazionali. Tra documentario e videoarte, quest’opera cinematografica è il primo atto di una trilogia sulla violenza di genere che ricostruisce gli orrori nazisti nei confronti degli omosessuali, seguita dal lungometraggio premiato in tutto il mondo “Bullied to Death” (2015), lavoro di denuncia sociale con cui conferma il successo di critica e pubblico. Un film che affronta una tematica particolarmente forte come quella del bullismo omofobico, nello specifico il cyberbullismo, reato ancora oggetto di studio e non previsto dalla legge. Segue nel 2017, consolidando il successo ricevuto nelle precedenti opere, il cortometraggio “Xavier”, incentrato sull’attacco terroristico agli Champs–Elysées dove trovò la morte il poliziotto Xavier Jugelé. Nel 2019 esce il film “Mark’s Diary”, Best Director e best Art Film al NRFF di Amsterdam, e il Best Experimental Feature al Gathering Indie Film Festival di Cleveland, per citare solo alcuni dei tanti premi. L’opera si ispira a tante storie vere e al libro “Loveability” di Maximiliano Ulivieri, che affronta il tema dell’assistenza sessuale per disabili, una realtà ormai consolidata in gran parte dell’Europa e quasi sconosciuta in Italia. Attualmente ha appena rilasciato il lungometraggio “Histoire d’Une Larme, un film travolgente e doloroso che affronta il controverso tema dell’eutanasia ispirato al libro “Ocean Terminal” di Piergiorgio Welby, ed è impegnato nella nuova produzione del film che chiude la trilogia dedicato al femminicidio “Bride In The Wind” (uscita prevista nel 2022).
A partire dal 1996, la grande capacità di narrare di Coda gli ha consentito di ampliare la produzione fotografica in cui sono confluiti diversi linguaggi espressivi come musica, scenotecnica, grafica, regia, coreografia e danza. Una costante nella progettazione delle sue opere filmiche è quella parte dedicata al dietro le quinte, alla struttura dell'impianto fotografico e alla documentazione, parti integranti del suo personale e originale processo creativo. Come la selezione tra le tante di scatti relativi al backstage dei film “Mark’s Diary” o “Il Rosa Nudo”. “La devastazione come involucro dell'esistenza e della caducità della vita sono concetti che si ripetono spesso nel corso della sua attività artistica”, commenta Roberta Vanali. Sin dagli esordi oltre alle opere filmiche la sua ricerca si inoltra quindi anche verso la realizzazione di progetti fotografici di stampo pittorico. Tra questi per citarne alcuni, “Bete Noire”, “Passage Poectronique”, installazione dedicata a Oscar Manesi e Gianni Toti”, o il recente reportage “Mexicana”, risultato di un viaggio quasi spirituale in Messico sulle tracce della grande Frida Khalo, sospeso tra la necessità di scoprire un nuovo mondo e quella di riscoprire se stesso. Anche nel periodo della pandemia la sua produzione fotografica cresce notevolmente attraverso immagini che virano su atmosfere surreali, spinto dalla necessità di “documentare la sospensione forzata, vissuta in quest’epoca drammatica, e sondare l’organizzazione di nuovi modi di vivere la quotidianità”, spiega Coda. Nature morte, realizzate con oggetti trovati per casa, scaturite dal fluire di un tempo lento e silenzioso in “LookDown 2020”, in cui si trova anche una serie di vedute dalla finestra al tramonto, sagome di uccelli che spezzano l'infinito ma anche sinuose calle dai toni accesi, al limite della fluorescenza.
“Sperimentatore indipendente, la cui cifra stilistica è riconoscibile a prima vista e difficilmente inquadrabile in una qualsivoglia tendenza, Giovanni Coda coniuga cinema, fotografia e arti performative, con molteplici riferimenti che vanno da Greenway a Pasolini, da Pina Bausch a Bill Viola e da Lachapelle a Erwin Olaf, con la costante di una voce narrante fuori campo che, come in un diario, racconta senza filtri la tematica in esame. Sensoriali e metaforiche, le sue opere sono caratterizzate da contrapposizioni stilistico-espressive tra il racconto di matrice documentaristica e quella parte più visionaria e talvolta patinata che suscita immancabilmente sensazioni spiazzanti”, aggiunge la curatrice della mostra – “Parafrasando Ingmar Bergman ‘non c’è nessuna forma d’arte come il cinema per colpire la coscienza, scuotere le emozioni e raggiungere le stanze segrete dell’anima’. E in questo Giovanni Coda è maestro”.
- Redazione