NUORO. Si può bere il caffè al bar, mangiare in ristorante e anche avere un fresco taglio di capelli. Ma gli ospedali no, quelli sono ancora in lockdown. In Sardegna, come altrove. Le visite mediche specialistiche sono bloccate. Anche quelle oncologiche. E, le vite delle persone, meno fortunate, affette da una qualsiasi patologia sono appese a un filo. In attesa che tutto si sblocchi.
Francesca (non è il vero nome, perché così ha chiesto per dare l'assenso al racconto), vive in un paese del Nuorese. Ha 44 anni, è insegnante e ha figli. A ottobre del 2019 inizia ad accusare forti mal di testa. Passano i giorni e al dolore si aggiungono crisi epilettiche non convulse. Così decide di andare a fare un controllo. “Che lavoro fa?”, le domanda il dottore. “Sono una maestra, lavoro con i bambini”. “Ah allora stia tranquilla, non si preoccupi, è lo stress”. Francesca però non è convinta e vuole indagare a fondo.
Si rivolge ai migliori specialisti, parte da Cagliari passando per Milano e Verona. Decide che è qui che deve farsi seguire. “Bisogna fare una risonanza magnetica al cervello”. Poi il referto. Quello che nessuno vorrebbe mai sentirsi dire: tumore cerebrale, di tre centimetri e mezzo. “Dovrebbe essere benigno ma per essere certi ci vorrebbe la biopsia”, la informano i medici. In ogni caso la massa tumorale è da rimuovere. Si trova in una zona del cervello abbastanza delicata, asportarla comporta dei gravi rischi. E il lavoro? “I dottori volevano che mi fermassi ma ho voluto continuare. Non posso stare ferma a casa a rimuginare, sola con i miei pensieri”. Arriva febbraio. La maestra prosegue i controlli e aspetta una cura per tenere sotto controllo l’epilessia. “L’intervento si deve fare”, confermano gli specialisti. L’appuntamento è fissato a Verona. A marzo.
Poi, però, arriva il coronavirus e il mondo si ferma, anche le visite oncologiche. “A Verona è tutto bloccato, troppo pericoloso”. Resta tutto così, sospeso. Il destino di Francesca è appeso a un filo tessuto dall'uomo che ha paura del coronavirus. E lei è costretta a combattere tutti i giorni quelle terribili crisi epilettiche. Perché una cura ancora non gliel’hanno data. “Sono rimasta ferma, in attesa che mi richiamino dall’ospedale di Verona per dirmi quando posso tornare”, afferma. Forse è un segno, qualcosa ha deciso che non fosse ancora il momento giusto per fare l’operazione, pensa. Ma c’è anche la paura. Quella di non riuscire ad agire in tempo. E di intervenire quando ormai sarà troppo tardi.