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"Io in prigione da 50 anni, penso di farla finita": la lettera dell'ergastolano A Nuoro

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NUORO. “L’affanno che si prova al solo pensiero di dover morire in galera non si può descrivere" così G.M., detenuto nella casa circondariale di Nuoro “Badu ‘e Carros, condannato all’ergastolo, racconta i suoi quasi 50 anni di prigione. Ad assillarlo, però, il pensiero che in carcere ci dovrà anche morire. "Sono stato arrestato la prima volta nel febbraio 1976, quando avevo 16 anni e da allora, a parte un paio d’anni (1981-1983) in cui sono evaso dall’isola di Pianosa, sono sempre stato detenuto. E’ vero che mi sono reso responsabile di varie evasioni, perlopiù dei colpi di testa dovuti all’affanno di dover rientrare in carcere, ma dal 1987 in poi non ho mai commesso dei reati nel corso di questi benefici”.

“Parole di speranza ma anche di disperazione che non possono lasciare indifferenti – sottolinea Maria Grazia Caligaris di “Socialismo Diritti Riforme Odv”, l’associazione che ha ricevuto la toccante lettera di G.M. Parole che fanno riflettere sulle condizioni di vita dentro una cella, sul peso della solitudine e di una esistenza nata storta e su quanto il principio della riabilitazione sociale abbia necessità di strumenti più incisivi, soprattutto quando il percorso deviante inizia durante l’adolescenza. La perdita della libertà in condizioni di sofferenza può essere un peso insopportabile senza opportuni sostegni ”.

“Ho 63 anni", si legge nella lettera. "Ne ho fatti 47 di carcere. Con i giorni di liberazione anticipata arrivo a 56 anni scontati, vale a dire più del doppio di quanto preveda il codice penale affinché un condannato all’ergastolo possa chiedere la liberazione anticipata. Attualmente nel mio futuro vedo solo due strade possibili: chiedere la grazia presidenziale o farla finita una volta per tutte, perché sono veramente allo stremo delle forze. Del G.M. del passato restano solo i dati anagrafici sulla carta d’identità. E’ credibile che dopo 47 anni io non sia cambiato?”.

“Lo stigma legato al reato originario sembra – evidenzia Caligaris di Sdr – indelebile e si aggiunge agli errori, come il mancato rientro dopo un permesso premio, che purtroppo possono verificarsi nell’arco di decine di anni trascorsi dietro le sbarre e con il desiderio irrefrenabile e incontenibile di non vedere più una cella. Errori certamente da considerare ma che non possono identificarsi per sempre con chi li ha commessi. La persona non è il suo reato, si sente dire, ma poi nella quotidianità le opportunità si misurano con quella fiducia tradita e si sotterra il seme della speranza e del riscatto”.

“Il desiderio di libertà – afferma G.M., pur nella consapevolezza degli errori commessi – non si può soffocare, è dentro ciascuno di noi esseri umani”.

“Proprio per questo, l’essenza dell’esistenza non può prescindere dalla libertà, un valore – conclude Caligaris – che deve essere presente soprattutto laddove viene meno. Espiare una pena non può prescindere dalla speranza di riottenerla, anche soltanto per assaporarne il gusto e per non dover morire dentro un carcere. G.M. sembra averlo capito a chi di dovere il compito di valutare la sua buona fede e dargli una nuova possibilità”.