CAGLIARI. Gli ammassi di galassie sono gli oggetti più grandi nell’universo a essere tenuti insieme dalla gravità e includono fino a centinaia o migliaia di galassie. Oltre che nella banda ottica e nei raggi X, gli ammassi di galassie sono studiati anche alle lunghezze d’onda radio. Le onde radio rivelano talvolta emissione diffusa che dimostra in maniera incontrovertibile la presenza di un gas di particelle che si muovono con velocità prossime a quella della luce e di un campo magnetico nel vasto spazio che separa le galassie dell’ammasso.
Se il campo magnetico intergalattico ha una struttura ordinata su scale molto estese, il segnale radio ad esso associato che viene captato dagli strumenti sulla Terra può rivelarci una sua importante caratteristica, ovvero la sua polarizzazione, che riflette il grado di ordine del campo magnetico dell'ammasso. Questa informazione permette di condurre uno studio dettagliato delle caratteristiche magnetiche del mezzo intergalattico, contribuendo ad ampliare la conoscenza dell’origine ed evoluzione del magnetismo cosmico, uno degli obiettivi chiave della radioastronomia moderna. Con questo obiettivo, il team a guida INAF ha concentrato la sua attenzione sull’ammasso di galassie denominato Abell 523, un ammasso di galassie invisibile a occhio nudo che si trova a circa 1,6 miliardi di anni luce dal Sistema solare e appare nel cielo circa a metà strada tra la costellazione di Orione e quella del Toro. Per le osservazioni sono stati usati i dati raccolti dallo Jansky Very Large Array (VLA), una rete di radiotelescopi costruita nel New Mexico, USA. Il campo di osservazione, pari a circa un grado quadrato, ha consentito di individuare una zona di emissione polarizzata senza soluzione di continuità pari a ben 80 galassie come la Via Lattea, cioè circa 8 milioni di anni luce.
“Grazie al Very Large Array (VLA) siamo riusciti ad osservare l’emissione polarizzata associata al mezzo intergalattico dell’ammasso Abell 523 e fare luce su un fenomeno altrimenti inaccessibile. L’emissione polarizzata che abbiamo scoperto si estende su scale spaziali in cui quella in intensità totale non è infatti visibile” spiega Valentina Vacca, ricercatrice dell’INAF di Cagliari e prima autrice dello studio.
"Le osservazioni in polarizzazione sono poco interessate da alcuni limiti strumentali, per gli addetti ai lavori si parla di limite di confusione, rispetto a quelle in intensità totale. A parità di tempo osservativo e risoluzione, le osservazioni in polarizzazione possono raggiungere sensibilità molto più elevate e rivelare sorgenti deboli che non sarebbero visibili altrimenti” commenta Federica Govoni, ricercatrice presso l’INAF di Cagliari e responsabile della Divisione Nazionale Abilitante per la Radioastronomia dell’INAF.
Già altri studi in passato indicavano che sarebbe stato possibile rivelare questo tipo di segnale con radiotelescopi sempre più avanzati. “Pensavamo però di dover aspettare alcuni decenni e l’avvento dell'Osservatorio SKA. Il risultato che abbiamo ottenuto - dice Matteo Murgia, primo ricercatore dell’INAF di Cagliari - anticipa i tempi e dimostra che questo tipo di studi può essere già svolto con gli strumenti attuali”.
Lo studio è accettato per la pubblicazione nell’articolo “Puzzling large-scale polarization in the galaxy cluster Abell 523” di Valentina Vacca, Federica Govoni, Matteo Murgia, Richard A. Perley, Luigina Feretti, Gabriele Giovannini, Ettore Carretti, Fabio Gastaldello, Filippo Cova, Paolo Marchegiani, Elia Battistelli, Walter Boschin, Torsten A. Ensslin, Marisa Girardi, Francesca Loi e Federico Radiconi sul sito web della rivista Monthly Notices of the Royal Astronomical Society.
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