CAGLIARI. L'economia dell'Isola? Debole, ancora troppo debole. Anche se aumentano i consumi e l'esportazione è in forte espansione. Così come il numero di presenze turistiche. Nel 2016 la Sardegna resta tra le 65 regioni più povere dell'Unione Europea (212esima su 276 regioni). In un quinquennio il suo prodotto interno lordo passa dal 76 al 71% della media europea: percentuale che la fanno entrare nel gruppo delle regioni meno sviluppate, con un andamento negativo che è comune al contesto nazionale: Nessuna regione italiana riesce a stare al passo con la crescita sperimentata dal resto dell'Europa. I dati emergono dal rapporto del Crenos (Centre for North South Economic Research). Nel 2016 la Sardegna è ancora l'unica regione del Mezzogiorno in fase recessiva.
I consumi delle famiglie sarde, dopo aver toccato il valore più basso nel 2014, aumentano nel 2016 per il secondo anno consecutivo registrando un tasso di crescita del 2,1%, uno tra i più alti nell’intero Paese. Crescono la spesa per i servizi (+2,7%) e quella per alimentari, prodotti per la persona e la casa e medicinali (+1%). Cresce anche (+7%) la spesa per i beni durevoli (arredamento, autovetture, elettrodomestici, abbigliamento, libri), generalmente molto compressa nelle fasi di crisi economica, ad indicare una maggiore disponibilità di reddito e migliori aspettative per i consumatori e le famiglie.
Il dato sugli investimenti, che è relativo al 2015, mostra che il processo di accumulazione di capitale non è ancora ripreso: in Sardegna gli investimenti per abitante calano del 2,2% rispetto al 2014. L'andamento è in controtendenza rispetto alle altre regioni del Mezzogiorno, i cui investimenti per abitante aumentano tra il 2% e il 9% (media dell'area: +4,5%). Nel complesso del Paese sembra superata la fase di rallentamento del processo di accumulazione di capitale particolarmente evidente nel quinquennio 2011-2015, ma la Sardegna non sperimenta ancora tale inversione di tendenza. Desta preoccupazione il dimezzamento del valore degli investimenti nell'Isola relativo all’ultimo decennio: i 6.300 euro per abitante del 2006 diventano 3.200 euro nel 2015.
La struttura produttiva: segnali di ripresa, esportazioni in forte espansione
Le imprese attive in Sardegna rimangono sostanzialmente stabili a quota 142.951 nel 2017, dopo l'aumento di 400 unità del 2016. Il tessuto imprenditoriale è però estremamente frammentato: gli addetti delle microimprese sono il 64% del totale, una quota maggiore di quella italiana (46%), già di per sé rilevante. Dal punto di vista settoriale si conferma la forza del comparto agricolo, sia nel numero delle imprese (circa 34mila, pari al 24% del totale) che nella loro capacità di creare valore aggiunto (5% in Sardegna contro 2% in Italia). Permane il sottodimensionamento del comparto industriale (21% delle imprese e 16% del valore aggiunto in Sardegna, contro 24% di imprese e del valore aggiunto in Italia). In Sardegna i settori legati alle attività svolte prevalentemente in ambito pubblico e ai servizi non destinabili alla vendita sono responsabili di circa un terzo del valore aggiunto complessivo, mentre le imprese che producono beni e servizi destinati al mercato hanno un peso relativamente esiguo, denotando una scarsa capacità da parte del sistema produttivo isolano di creare valore.
Nel 2017 vi è una forte ripresa dell'interscambio con l'estero sia dal lato delle importazioni che delle esportazioni. Le esportazioni del settore petrolifero aumentano di oltre 1 miliardo di euro (+30%), spinte dall'aumento del prezzo del petrolio, mentre per il resto dei settori le vendite all'estero sono pari a 944 milioni, anche esse in crescita (+20%). Per la chimica di base (fertilizzanti, composti azotati, materie plastiche e gomma sintetica) le esportazioni superano i 210 milioni di euro (+56% rispetto al 2016) mentre per l'industria lattiero-casearia sono pari a 120 milioni, in calo del 2%.
Il mercato del lavoro: deboli segnali positivi su tasso di disoccupazione e attivazioni
Rispetto all’anno precedente nel 2017 in Sardegna il tasso di attività rimane sostanzialmente invariato (-0,1% contro +0,6 del dato nazionale), così come quello di occupazione (+0,2% contro +1,2% del dato nazionale). Il tasso di disoccupazione raggiunge il minimo storico dal 2013, pari al 17%, grazie ad una diminuzione dell’1,4% (-4,1% in Italia). Questi dati mostrano che il mercato del lavoro isolano si sta riprendendo con molta più lentezza rispetto agli altri territori.
Nell'analisi settoriale dell'occupazione si conferma il ruolo centrale del settore dei servizi: escludendo le attività legate al commercio e al turismo, nel 2017 quasi il 55% dei lavoratori sardi trova occupazione in questo settore (49,6% in Italia). Cresce anche la quota di occupati nel settore legato al commercio e al turismo (+5%) che nel 2017 registra una quota pari al 22,7%. Aumenta sensibilmente anche la quota di occupati nell’industria (+9,3%), mentre il settore agricolo continua a perdere occupati (‐10%).
Si registra una forte crescita delle attivazioni dei rapporti di lavoro: in Sardegna nel 2017 crescono dello 13,3% rispetto al 2016 e la variazione è positiva anche per il quinquennio analizzato (+0,6%). Esse, inoltre, presentano un saldo positivo a favore delle attivazioni pari a più di 8 mila rapporti di lavoro. Il trend è positivo anche per lo stesso dato nazionale anche se di dimensione lievemente inferiore (+11,7% attivazioni rispetto al 2016).
I dati più recenti mostrano un generale miglioramento del saldo delle attivazioni rispetto alle cessazioni in tutte le province sarde, soprattutto per la fascia di età centrale (35-54 anni) che aveva sofferto più delle altre gli effetti della crisi economica. I contratti a tempo determinato costituiscano ancora la quota più rilevante delle nuove attivazioni di rapporti di lavoro (73,9%), ma aumenta la quota di contratti a tempo indeterminato (che arriva al 12,6%). Inoltre crescono del 6.1% i contratti di apprendistato.
I servizi pubblici: spesa sanitaria in crescita, bene nel settore dei rifiuti solidi urbani
Il monitoraggio della spesa sanitaria del Servizio Sanitario Regionale (SSR) isolano non mostra segnali incoraggianti: nel 2016 la spesa raggiunge i 3,28 miliardi di euro, corrispondenti a circa il 10% del PIL sardo (la spesa del SSN invece è il 6,7% del PIL nazionale). Il SSR sardo spende mediamente 1.981 euro per abitante, in crescita dell’1,6% rispetto al 2015 (+1,4% in Italia), e raggiunge così il livello di spesa pro capite più elevato dell’ultimo decennio. Il dato è superiore a quello del Centro-Nord (1.902 euro), del Mezzogiorno (1.769 euro) e quindi della media italiana (1.856 euro). L’analisi combinata dei dati sulla spesa sanitaria e sul mantenimento dell’erogazione dei Livelli Essenziali di Assistenza in Sardegna, i LEA, evidenzia una gestione non efficiente delle risorse e una performance non soddisfacente dei servizi sanitari essenziali.
Per quanto riguarda i servizi pubblici locali di rilevanza economica, si conferma il quadro d’insieme positivo delineato negli ultimi anni per il settore dei rifiuti solidi urbani. In Sardegna la percentuale di raccolta differenziata continua a crescere raggiungendo nel 2016 il 60,2% (267 chili per abitante, +9% in un anno), contro il 52,5% della media nazionale (261 chili, +13%). La produzione di rifiuti per abitante per la prima volta inverte il trend decrescente in Sardegna (444 chili per abitante, +2,5% in un anno), con una performance comunque migliore rispetto a quella nazionale (497 chili, +2,3%). La spesa per la gestione dei rifiuti, 171 euro per abitante, è superiore ai 143 euro del Centro-Nord, nonostante la minore produzione di rifiuti per abitante e una percentuale simile di raccolta differenziata.
Permangono le difficoltà dell’Isola nel migliorare l’utilizzo dei mezzi di pubblici e del trasporto ferroviario, e nel superare il divario rispetto al Mezzogiorno e al resto del territorio nazionale.
Non si registrano miglioramenti nell’indicatore di presa in carico dei bambini di età inferiore ai 3 anni nei servizi comunali per l’infanzia (10,7%, in linea con il Mezzogiorno) che secondo la strategia europea dovrebbe trasformarsi in 33% entro il 2020) ma si riducono i costi sostenuti dai comuni a fronte di un aumento della compartecipazione delle famiglie.
I fattori di crescita e sviluppo: capitale umano basso ma in lenta crescita; pochi investimenti privati in R&S
In Sardegna il capitale umano qualificato continua a crescere, ma troppo lentamente. Nel 2016 appena il 20,3% (18,6% nel 2015) dei sardi in età 30-34 anni ha conseguito un titolo di studio universitario o equivalente. Il dato resta tra i più bassi in Italia (solo Sicilia e Campania fanno peggio) ed è ancora molto distante sia dall’obiettivo europeo del 40% sia dalla media europea del 2016 (39,1%). Cresce anche la quota di laureati nelle discipline tecnico-scientifiche STEM (18,1%), ma anche questa rimane molto distante dalla media europea (32,6%). Il 9,9% dei sardi in età 25-64 anni partecipa ad attività di istruzione e formazione, risultando così i più attivi del Mezzogiorno e superando la media italiana (8,3%). Il tasso di abbandono scolastico diminuisce di ben 4,8 punti percentuali, passando dal 22,9% del 2015 al 18,1% del 2016. Tuttavia, la Sardegna è tra le pochissime regioni italiane ad avere un valore superiore all’obiettivo del 16% fissato per l’Italia. In calo anche la percentuale dei “giovani scoraggiati”, i NEET (Not in Education, Employment nor Training), in età 15-24 anni che passa dal 26,8% nel 2015 al 24,4% nel 2016.
E’ ancora troppo bassa l’incidenza percentuale della spesa in attività di ricerca e sviluppo (R&S) sul PIL, il cui valore nel 2015 (0,83%) è pressoché invariato rispetto all’anno precedente. Il dato è ancora nettamente al di sotto sia della media nazionale (1,34%) sia di quella europea (2,03%). Gli investimenti in R&S in Sardegna si caratterizzano per un peso della componente privata eccessivamente basso (12%) rispetto sia alla media nazionale (61,3%) e a quella europea (65,4%). La Sardegna è anche tra le regioni italiane con il più basso tasso di innovazione delle imprese con almeno 10 addetti. Infatti, il rapporto tra il numero di imprese con attività innovative di prodotto/processo e le imprese totali nel 2014 (dato più recente) è pari al 24%, ben al di sotto della media nazionale (32%). I dati più recenti sulle startup innovative sono invece decisamente positivi: il loro numero in Sardegna è più che triplicato nel periodo che va da fine dicembre 2013 (poco più di 50 unità) a fine dicembre 2017 (164 unità) Le startup innovative sarde sono orientate principalmente alla produzione di software e alla consulenza informatica. Esse rappresentano lo 0,44% del totale delle società di capitale attive a marzo 2018, incidenza simile a quella nazionale (0,53%).
Il turismo: la Sardegna è prima in Italia per crescita delle presenze
L’Istat rileva per il 2016 circa 2 milioni e 880mila arrivi (+10,3% rispetto all'anno precedente) e 13 milioni e 486mila presenze (+8,8%). Nel 2016 la componente nazionale delle presenze turistiche in Sardegna cresce del 7,7%, più che in ogni altra regione competitor, permettendo alla Sardegna di avere un numero di presenze nazionali superiore a quello di Sicilia, Calabria e Corsica. Migliora notevolmente l’internazionalizzazione dei flussi turistici: la componente estera cresce del 10,1% avvicinando il numero di presenze straniere al dato della Sicilia (tendenzialmente il più elevato tra le regioni competitor) dove si registra invece una leggera flessione. La quota dei turisti stranieri ha raggiunto il 48% (33% nel 2007), in linea con la media nazionale (49%). Germania, Francia, Svizzera e Regno Unito si riconfermano i principali paesi di provenienza dei turisti stranieri.
La stagionalità dei flussi turistici rappresenta ancora una criticità per la Sardegna. Circa il 52% delle presenze turistiche si concentra nei mesi di luglio e agosto, questa percentuale raggiunge l’83% se si considera l’intera estate (da giugno a settembre). Una buona notizia per la destagionalizzazione riguarda i flussi internazionali: nei mesi cosiddetti “di spalla” (maggio, settembre, ottobre) superano quelli nazionali.
Aumenta l’offerta di alta qualità e anche l’indice di utilizzazione delle strutture. Nel 2016 aumentano le strutture ricettive (+3,0%), ma diminuiscono i posti letto (-1,1%), calo dovuto al settore alberghiero di livello medio-basso. Il 2016 è un anno positivo soprattutto per le strutture alberghiere di alta qualità, la cui capacità ricettiva aumenta notevolmente (+14,0%). L’indice di utilizzazione delle strutture delle strutture alberghiere arriva al 24,7% (+12,2%) raggiungendo il miglior risultato degli ultimi dieci anni. Quello delle strutture extra-alberghiere si attesta al 9,9%. Benché si tratti di dati ancora inferiori alla media italiana e corsa, la Sardegna è in linea con le altre regioni competitor del Sud Italia e risulta in miglioramento negli ultimi anni.