In Sardegna

Cirrosi, al Policlinico in cura 3mila pazienti: "La maggior parte causate da abuso alcolico e fegato grasso"

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CAGLIARI. Sono quasi tremila i pazienti affetti da cirrosi epatica in cura nella Struttura Semplice di Malattie del Fegato al Policlinico Duilio Casula. In tutto vengono seguiti circa 12mila pazienti. Sono i dati diffusi dall'azienda ospedaliera universitaria.

"La maggior parte dei casi di cirrosi sono causate dall’abuso alcolico e il fegato grasso - spiega il professore Luchino Chessa, direttore di Malattie del Fegato del Policlinico Duilio Casula - per il resto vengono registrate cirrosi da Hcv, dove il virus è stato eradicato farmacologicamente, e quelle da Hbv e virus Delta, trattate per tutta la vita con farmaci antivirali".

Non sono presenti dati recenti sulle malattie del fegato in Sardegna. In Italia, ogni anno, sono previsti dai 30 ai 60 nuovi casi di cirrosi per 100mila abitanti e una mortalità di 15mila pazienti. "Considerando un numero di infezioni virali e un abuso alcolico al di sopra della media nazionale – sottolinea l’epatologo dell'Aou di Cagliari - è ipotizzabile un numero di cirrosi epatica più elevato nell’isola".

Questa condizione è il risultato di danni ripetuti al fegato, che per via delle sue capacità rigenerative sostituisce il tessuto sano con quello cicatriziale, fibroso, non più attivo. Quando questo processo non viene fermato e interessa gran parte dell’organo si può andare incontro a insufficienza epatica, condizione che può essere fatale.

Inizialmente, la malattia può svilupparsi senza causare disturbi ed essere individuata nel corso di indagini. Successivamente, possono comparire sintomi vari che includono: ittero (colorito della pelle e delle sclere giallastro), stanchezza, sonnolenza, stati confusionali, febbre, nausea e vomito, diarrea e difficoltà digestive.

Nel momento in cui si instaura la cirrosi, diventano fondamentali tutte le azioni necessarie a ridurre l’azione dannosa nelle cause. "La prevenzione si avvale di campagne di sensibilizzazione e lo screening – afferma il professore Chessa - per scoprire se le persone hanno una infezione virale in atto".

E prosegue: "Il trattamento antivirale contro i virus epatitici, l’astensione dalle bevande alcoliche, il cambiamento dello stile di vita possono rallentare e arrestare la malattia del fegato, ma non sempre è possibile. In questi casi – dichiara l’epatologo del Policlinico - è necessario agire farmacologicamente per ridurre le complicanze, e quando fattibile salvare il paziente con il trapianto di fegato".