CAGLIARI. "Costretti a chiudere le comunità terapeutiche della Sardegna". È quanto sostiene il Coordinamento delle Comunità Terapeutiche, che lamenta problemi strutturali come le rette ferme a 10 anni fa per tutte le strutture accreditate per la cura delle dipendenze.
"Dopo numerosissime richieste presentate alla Regione – si legge in una nota – i presidenti delle Comunità terapeutiche accreditate denunciano che le rette giornaliere ferme dal 2012 non permettono più la cura del paziente e la gestione del personale. Tutte le strutture rimaste aperte nel territorio regionale saranno costrette a chiudere entro pochi mesi. All'interno delle strutture accreditate vengono accolte persone, inviate dal servizio pubblico, con problemi di dipendenza da sostanze stupefacenti, da alcolismo, da gioco d'azzardo, detenuti in misure alternative. La maggior parte di queste persone sono affette da disturbi mentali e a forte rischio di emarginazione sociale".
Secondo i presidenti delle Comunità terapeutiche accreditate, quindi, centinaia di pazienti con problemi di dipendenza e disturbi mentali correlati dai prossimi mesi non avrebbero più un luogo sicuro e protetto dove curarsi e rientrerebbero quindi nei loro territori, con un grande rischio sia per le famiglie che per i comuni di residenza.
"Le strutture accreditate – continua la nota – fungono infatti da "contenitore sociale" per centinaia di persone. Le comunità sarde in 35 anni di attività hanno accolto e curato oltre 30.000 persone, supportando nel contempo le loro famiglie e i servizi sociali dei territori e dando lavoro a più di 600 persone in tutto il territorio della regione. La chiusura delle strutture accreditate creerebbe un consistente aumento della spesa pubblica, in quanto le prestazioni sanitarie non più fornite nella Regione Sardegna, verrebbero contrattualizzate alle strutture accreditate di altre regioni, con costi molto più elevati e con gravi ritardi nell'inserimento, in quanto le strutture delle altre regioni assegnano priorità agli ingressi dai propri territori. Le comunità residenziali accreditate inoltre garantiscono, per la regione Sardegna, i Livelli Essenziali di Assistenza, diritti previsti "ed obbligatori" erogati su richiesta dal Servizio Sanitario Nazionale". Inascoltati per anni dalle istituzioni regionali e dall'assessore alla sanità i presidenti, il personale, gli ospiti e le famiglie chiedono immediatamente una soluzione doverosa e necessaria oltre al riconoscimento delle spese fino ad ora sostenute.
La presidente del Centro Servizi per il Volontariato, Lucia Coi, ha espresso vicinanza e piena solidarietà nei confronti delle comunità terapeutiche sarde che aderiscono al Ceas, il Coordinamento che riunisce le principali realtà di questo settore (Mondo X–Sardegna, L’Aquilone, La Crucca, Casa Emmaus, Madonna del Rosario, Arcobaleno; Centro di accoglienza Don Vito Sguotti, Dianova), che "rischiano di chiudere a causa non solo del caro energia, che sta mettendo a durissima prova cittadini, imprese e strutture, ma anche per il mancato aggiornamento delle rette erogate dalla Regione Sardegna: queste, infatti, non coprono più nemmeno le ore di lavoro del personale impiegato, imposto dalle norme per l’accreditamento regionale".
"A tutto ciò – conclude la nota del CSV – si aggiunge il fatto che queste comunità, come anche tutte le strutture socioassistenziali dell’Isola, in periodo di pandemia non hanno ricevuto alcuna risorsa straordinaria e, di conseguenza, hanno dovuto far fronte a proprie spese all’acquisto dei dispositivi anti-Covid: mascherine, camici, disinfettante, tamponi. Dal 1980 ad oggi, le comunità sarde hanno accolto e curato più di 30mila persone, supportato le loro famiglie e i servizi sociali territoriali, e dato lavoro a oltre 600 persone. Riteniamo che il loro impegno, la dedizione, la competenza e i servizi essenziali da loro profusi in tutti questi anni, non possano essere ignorati ma, anzi, vadano supportati con adeguate risorse economiche".
- Redazione