In Sardegna

Denatalità e popolazione sempre più anziana, economia fragile: il rapporto Crenos sulla Sardegna

 

CAGLIARI. Il 29° Rapporto sull’Economia della Sardegna viene redatto durante una fase di grande incertezza dell’economia europea. Al sollievo per la fine delle limitazioni al normale funzionamento del mercato dovute alla pandemia, fa da contrappeso lo scenario fosco causato dalla guerra in Europa. La prevista riduzione della crescita mondiale, innescata dal rallentamento dell’economia cinese prima e dalla guerra poi, così come il riaccendersi dell’inflazione, preoccupano i Paesi maggiormente sviluppati. La veloce trasmissione a livello mondiale degli shock economici è una ulteriore conferma che la globalizzazione è ben lungi da essere un fenomeno del passato.

L’analisi della dinamica demografica conferma le criticità strutturali che caratterizzano la Sardegna: nel 2020 si ha il nuovo minimo storico nel numero dei nati (8.262) e il tasso di natalità scende a 5,2 nati ogni mille abitanti (è pari a 9,1 nell’Unione Europea). A questo si aggiunge un aumento della mortalità rispetto alla media del periodo 2015-2019 pari al 13% nel 2020 e al 12% nel 2021, spinto anche, ma non solo, dalla diffusione del virus negli ultimi due anni. Per completare il quadro, uno sguardo ai movimenti migratori ci restituisce un’immagine di scarsissima mobilità e di un flusso in entrata in Sardegna non capace di compensare quello in uscita, anch’esso scarso ma comunque maggiore. L’insieme di questi tratti determinano una spirale di decrescita della popolazione che rappresenta un grave rischio dal punto di vista socioeconomico per la nostra regione.

Risulta infatti particolarmente accentuato il processo di invecchiamento della popolazione (l’età media dei residenti sfiora i 48 anni), e il mutamento del rapporto intergenerazionale conferma l’aumento del carico sociale ed economico sulla componente anagraficamente attiva della popolazione: all’inizio del 2021 in Sardegna ogni 100 persone in età lavorativa vi sono quasi 57 individui a carico, molti dei quali nella fascia più anziana della popolazione. In Sardegna infatti ogni 100 giovani sotto i 15 anni vi sono oltre 231 residenti di 65 anni o più. I dati del contesto macroeconomico fotografano in pieno gli effetti dell’insorgere dell’emergenza sanitaria e confermano la fragilità del sistema economico della Sardegna, specializzata nel comparto della ricettività turistica e nel settore del commercio, attività particolarmente colpite dalle limitazioni delle attività degli anni passati e dal calo della domanda.

Nonostante le conseguenze economiche della crisi pandemica non siano state ancora superate, il mercato del lavoro sardo mostra segnali incoraggianti nel 2021. La Sardegna recupera infatti circa un terzo dei 30 mila occupati in meno registrati nel 2020. Aumenta al 46,6% anche la partecipazione al mercato del lavoro: si riducono di 24mila unità gli inattivi e cresce il numero di chi, anche se non ha un impiego, lo cerca attivamente. Proprio l’aumento del tasso di disoccupazione (nel 2021 al 13,5%), che in parte è determinato da una riduzione degli inattivi, rappresenta quindi un ulteriore segnale del rinnovato dinamismo del mercato del lavoro sardo in risposta alla crisi del 2020.

Infine, si regista una ripresa delle attivazioni di contratti di lavoro e un aumento della distanza tra attivazioni e cessazioni, con 18mila contratti cessati in meno rispetto alle attivazioni. Tuttavia, con una buona approssimazione possiamo affermare che oltre il 90% della dinamica del mercato del lavoro è costituita da contratti stagionali, stante la elevata correlazione delle attivazioni e cessazioni con la stagionalità del settore turistico.

“Quello di quest’anno – ha detto Francesco Mola, Rettore dell’ateneo del capoluogo sardo - è un rapporto che racconta la transizione. Spopolamento e denatalità sono problemi molto gravi indicati nell’analisi del CRENoS. Ma il problema più serio è quello posto sul capitale umano. Nei periodi di crisi aumenta il divario di genere, specie il gap di salario. La lezione della pandemia ha mostrato quanto è importante avere un sistema pubblico forte, soprattutto sulla sanità. Non c’è soltanto la rinuncia alle cure, ma anche la migrazione sanitaria verso le regioni del Nord. Le sfide sono tante: anche il capitale umano che noi formiamo rischia di andarsene”.